venerdì 3 aprile 2009

LO STRUMENTO SCORDATO

Oggi parliamo di qualcosa che è diffusissima, ha flotte di "seguaci" e assai valenti e creativi professionisti. Da appassionatissima di musica e cantante autodidatta, per me quest'argomento è come il miele per l'orso.
Di seguito un estratto da una relazione di un seminario (*) tenuta da un papà che, grazie a sua figlia, è diventato un musicoterapista, come dire che la sottoscritta si fosse iscritta a scienze motorie per diventare fisioterapista! Fantastico, aggiungerei! Questo papà è anche il presidente di una associazione di supporto ai genitori e si chiama Francesco Reitano.

PREMESSA
Esiste forse un’immagine più bella di quella che raffigura una madre e il suo bambino?
Quali e quante emozioni suscitano in noi gli sguardi complici e “innamorati” tra la madre e il suo piccolo.

Quello che appare, e che a volte è ritenuto erroneamente tale, come un normale meccanismo di attaccamento ha alle spalle un lungo lavoro di preparazione, che prende vita fin dal primo istante del concepimento.
Ogni mamma conosce suo figlio e gli conferisce una fisionomia, sia fisica sia emotiva, prima ancora di averlo incontrato.

Tutte le aspettative e le ansie si risolvono con il primo incontro e da qual momento “ la madre devota” inizia quel rapporto duale così importante per il futuro sviluppo psicofisico del bambino.

Possiamo paragonare la “relazione” che s’intrattiene tra i due protagonisti della nostra storia come a uno strumento che viene suonato a quattro mani.
Uno strumento su cui, e con cui, entrambi producono un concerto vibrante, ricco di note e sfumature.

Come un musicista dotato di “orecchio assoluto” la madre coglie le note suonate dal bambino e le restituisce arricchendole di risonanze armoniche ed emotive, ed è un susseguirsi di suoni, richiami, rimandi, pause con cui entrambi pongono le basi per una corretta integrazione psico-fisico emotiva con ”l’altro”.
L’immagine che ci presenta Winnicott, quando ci parla di questa simbiosi tra madre e figlio, può essere facilmente sovrapposta a quella di un ipotetico strumento su cui il bambino suona la prima nota e la madre completa l’accordo.

Il bambino ha dei bisogni ma non sa esattamente quali e non sa nemmeno come definirli.
E’ la madre ad assegnargli un nome, rendendolo gioiosamente onnipotente.
Nessuno insegna alla Madre come suonare tale strumento, tutto si svolge con naturalezza e affidandosi solo al proprio istinto. Quante volte sentiamo affermare a delle mamme che nessuno conoscerà mai i bisogni del proprio bambino come loro, e su questo hanno perfettamente ragione.

Solo loro conoscono la perfetta accordatura dello strumento “relazione”.
Naturalmente ci riferiamo al concetto di “Madre sufficientemente buona” definito sempre da Winnicott.

Lo strumento suona male

Esistono però delle situazioni particolari in cui tale relazione può essere disturbata o addirittura negata.
Può un bambino gravemente disabile suscitare nella madre le stesse percezioni e sensazioni di un bambino sano?
Può una Madre “Innamorarsi” di un bambino che cozza violentemente con l’immagine che si era creata o che comunque non sembra rientrare in nessun canone di bellezza condivisibile?

Non voglio essere frainteso quindi chiariamo subito un punto; non è il bambino disabile a essere uno strumento scordato e tantomeno la madre, ma è invece lo strumento “relazione” che semplicemente suona come non dovrebbe o almeno come ci si aspetta.

La madre si aspetta una nota che corrisponda a un bisogno o a uno stato affettivo del bambino, ma rimane spiazzata perché nel caso della disabilità tutta la comunicazione è rimessa in discussione e molte volte è necessario reinventarla, non c’e’ assonanza con tutto ciò a cui si era preparata .

Come un pianista che ha studiato per anni e anni un brano da eseguire per un concerto, al momento dell’esibizione scopre che dovrà invece suonare un Oboe.

Può anche capitare, in alcuni casi particolarmente gravi, che la comunicazione sembri non avere nessuna possibilità di esistere.
Ma attenzione non ho detto che non esiste, ho detto che sembra non esistere. Questo è un altro passo cruciale.

L’esperienza Personale

Molte volte siamo tentati di cadere nell’equivoco che comunicare sia sostanzialmente “il parlare”.
Non è che non si trova la via di comunicazione tra il genitore e il disabile, ma la si tralascia di seguirla o la si anticipa perché la si ritiene non idonea.

Se chiedete ad un genitore di un disabile, e su questo posso testimoniare la mia esperienza personale, vi saprà raccontare e spiegare benissimo la sottile differenza tra una smorfia e un’espressione legata ad un sentimento piacevole che “somiglia” a una smorfia.
Il genitore non accetta questa modalità così poco convenzionale , e anche se riesce a entrarci, si incaponisce nel voler riportare il figlio alla “normalità”.
In un bambino gravemente disabile la ricerca dell’emissione della “parola” è messa alla stessa stregua, quindi sottopone a stress sia il bambino sia i genitori, del camminare o mangiare da soli.

Nel tentativo di ritrovare il figlio “normale” e di creare per lui l’indipendenza ci si dimentica di “ascoltare”.

La posizione che il bambino assume nel desiderio dei genitori non è quella di “desiderante”, al bambino disabile viene, quindi, di solito negata l’indipendenza con la scusa di svilupparla.
Questo strumento relazionale di cui stiamo parlando va accordato e suonato con modalità diverse e su piani diversi.
La parola, il linguaggio, il significato diventano sfondo mentre il significante e ,ancor di più, la prosodia affettiva assumono una posizione di primo piano nel rapporto con il disabile.
E anche qui ritroviamo elementi che rimandano alla musica e alle sue regole come la ritmica e la timbrica.

Eppure molte volte riduciamo i nostri figli a una semplice lista di sintomi, dandogli quindi un menù di possibilità limitato cui attingere per identificarsi, e per strutturare il loro Io.

Non dimentichiamo però che anche i genitori sono stati traumatizzati da questo turbine di eventi.
La madre viene ferita nel proprio orgoglio narcisistico.
Non è stata un contenitore sufficientemente forte e sicuro per il suo bambino. L’intera famiglia è sconvolta da un evento che nessuno mette in conto quando inizia il progetto di una gravidanza.

Ricreare nei genitori un pensiero creativo nei confronti di quella creatura, aiutarli a trovare il modo di suonare insieme quello strumento è il segreto per la riuscita di una sana relazione.
E per “sana” intendo dire “bidirezionale”.

Il bambino sente di essere perché qualcuno è lì con lui, comunica perché sente che l’altro lo ascolta.
Normalmente invece la comunicazione tra i genitori e il bambino disabile è monodirezionale, non ci si preoccupa di aspettare i suoi tempi, non ci si pone molte volte il problema di aspettarsi da lui dei bisogni diversi.

Ecco il segreto è tutto li, bisogna dare a questi bambini la possibilità di avere dei “desideri”.
Desideri “diversi” dai nostri. Dobbiamo considerare questi bambini delle vere entità desideranti e non dei prolungamenti del nostro desiderio.
L’ambiente in cui lui andrà a vivere deve essere in “ascolto” come lo è quello in cui vive qualsiasi bambino normodotato.

I genitori devono recuperare la loro capacità creativa per inventarsi e accettare ogni giorno questo tipo di “relazione” e tutti i suoi cambiamenti anche dall’oggi a domani. Quello che oggi funziona domani potrebbe non funzionare più, bisogna entrare nella complessità della relazione e non nella sua semplificazione.
Ascoltare e accettare è questo il grande sforzo creativo che dobbiamo chiedere a tutti.

L’ambiente medico non è ancora, purtroppo, pronto a sostenere questo processo per due ordini di motivi:
per prima cosa hanno l’obiettivo primario di salvaguardare gli aspetti vitali del bambino, mentre quelli psichici con le tecniche di rianimazione di oggi passano purtroppo in secondo piano per una svariata quantità di motivi.

Secondo motivo è quello che gran parte del mondo clinico ritiene ancora oggi che lo sviluppo, sia psichico che soprattutto affettivo del bambino, sia biologicamente programmato; e che quindi l’attaccamento con i genitori sia una questione quasi automatica.

Vi posso raccontare per esperienza di come moltissimi medici rimanendo stupiti dal rapporto con mia figlia, facevano in modo di provare a “riportarmi alla realtà dei fatti”.
Il fatto di avere un rapporto affettivo e relazionale sereno con quella bambina li portava a credere che non avessimo coscienza della gravità della situazione.

Io ho avuto la forza di crederci e frequentando il corso di Musicoterapia a indirizzo relazionale ho affinato le mie capacità di ascolto, ma quanti genitori questa forza non ce l’hanno?

Voglio dire a tutti i familiari di disabili che le possibilità di costruire una relazione carica di soddisfazioni e di senso “estetico” ci sono e sono reali, basta solo immaginare di poter suonare quel benedetto tamburo ……... anche se ha la pelle sfondata.
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Alcuni link interessanti:
http://www.mtonline.it/?page_id=2
http://www.esagramma.net/chi.htm
http://www.labottegadiorfeo.it/lacostruzione.htm
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(*)Seminario di studi “Musicoterapia oggi”, teoria e prassi.
Museo Diocesano di Catania, 18 ottobre 2008

2 commenti:

mresciani ha detto...

Bello questo post....è proprio molto forte nei contenuti!!

orsatosta ha detto...

aggiornamento: altro articolo interessante sebbene datato
http://superando.eosservice.com/content/view/2394/112/