I tragici fatti avvenuti al
quartiere Veronetta a Verona, lo scorso venerdì mattina, ci devono
far riflettere e poi dovremmo agire e come cittadini e come
amministrazione/enti di servizi.
In
primis: che cosa succede quando un paziente oncologico terminale
(come era la vittima) viene dimesso dall’ospedale?
La
prassi non è l’attivazione di un protocollo di assistenza
domiciliare, d’intesa con il medico di base?
Abbiamo
letto, dall’articolo su L’Arena del 24.11.2019, che il figlio
(omicida e tentato suicida) aveva avuto un incontro con l’assistente
sociale dei servizi del Comune di Verona che gli aveva illustrato le
possibilità offerte.
Ma
poi dopo questo colloquio come prosegue l’assistenza verso le
famiglie?
Abbiamo
anche letto che, in seguito, questo signore si fosse recato, il
lunedì antecedente i fatti, alla sede dell’associazione di
volontariato del suo quartiere per chiedere “se qualcuno sapeva
mettere un catetere” - su Il Corriere Verona del 23.11.2019.
Sapendo
bene cosa significhi doversi orientare tra i servizi a Verona, posso
affermare con cognizione di causa che è molto difficile farlo, se si
è una persona in possesso di ogni facoltà mentale, con un certo
grado d’istruzione e una considerevole pazienza.
Ora
pensiamo a quest’uomo di 50 anni che tutti (vicini e commercianti
del quartiere) definiscono “disturbato”, che non aveva più il
lavoro e che era visto spesso camminare per le vie.
Viveva
con entrambi i genitori, la mamma che era malata anche lei, ad un
certo punto ad agosto scorso muore, lasciando un marito malato a
questo figlio fragile.
Fortunatamente
esiste una colf che frequenta la casa da 25 anni e quindi almeno è
una figura di riferimento stabile e nota, per quest’uomo che si
deve essere sentito perso, quando la madre è venuta a mancare.
Una
madre che magari l’avrà sempre protetto.
Ciò
che sciocca è leggere che il padre era caduto in bagno – neanche
il minimo di ausili era stato procurato a questa famiglia? E un
signore anziano, magari malfermo sulle gambe e reduce da una
importate operazione chirurgica, è opportuno che vada in bagno in
maniera “tradizionale” sapendo che il bagno è il luogo più
pericoloso in assoluto e che registra i più numerosi incidenti
domestici specie tra anziani? Nel protocollo di assistenza
domiciliare dovrebbe anche essere inserita la consulenza e la messa
in pratica per l’adattamento della casa quando si tratta di una
persona con disabilità, perché il requisito imprescindibile in
questi casi è il maggior comfort con il quale possiamo modificare
l’ambiente domestico.
Posso
fare delle ipotesi, sulla scorta di 11 anni in cui sono stata
contattata da svariate centinaia di famiglie, ognuna con le sue
specificità oltre al fatto che, io stessa, faccio parte di una
“famiglia con disabilità” e quindi conosco bene la materia.
E
mi immagino un figlio, di 50 anni anagrafici ma sicuramente molto più
“giovane” a livello cognitivo, che si trova prima orfano e poi
con un padre non più autosufficiente e anzi bisognoso di cure molto
specifiche (quanti di noi sanno cambiare un catetere?) e di terapie
farmacologiche rigorose oltre che di controlli periodici, visite,
approvvigionamento di farmaci - che significa andare dal medico a
farseli prescrivere e le prenotazioni al CUP etc etc etc
Ora:
una persona come è stata descritta dagli articoli apparsi su L’Arena
e su Il Corriere di Verona sarebbe stata in grado di fare tutto ciò?
No.
Ha
fatto però la cosa più intelligente da fare: ha chiesto aiuto.
E
quando si è presentato all’associazione del quartiere,
un’associazione che esiste da trenta anni, pluripremiata etc, che
cosa gli hanno risposto?
Che
avrebbero fatto il possibile (anche se non avevano capito bene che
cosa chiedesse questo signore - si legge sempre dalla stampa).
Ora
se a me arriva una richiesta di questo tipo, se non conosco la
risposta, inizio ad attaccarmi al telefono finché non trovo qualcuno
che manda un OSS, un infermiere, una badante, chiamo l’assessore, i
servizi sociali, il distretto, il parroco, qualcosa mi invento se proprio non so:
chiedo! Finchè non riesco a rispondere alla richiesta di aiuto
pervenutami.
In
11 anni di attività ho avuto richieste di ogni tipo anche al di là
della disabilità, di cui ci occupiamo (l’oceano delle malattie
mentali per esempio) ma non ho mai congedato nessuno con un “faremo
il possibile”.
Oltretutto
che l’associazione ha sede nello stesso quartiere dove vive la
persona che viene a chiederti aiuto: che fine ha fatto l'essere comunità?
Lungi
da me addossare responsabilità alla Fevoss e alla sua legale
rappresentante, ma: ci rendiamo conto che c’è qualcosa che non va?
Ad
esempio: il collegamento tra i vari attori del sociale per cui
attorno alle persone con bisogni creati da uno stato di malattia,
disagio etc, non c’è nessuna rete di protezione e sostegno?
La
sottoscritta ha fortemente voluto e ha trovato per fortuna una
intelligente presidente di circoscrizione (Rita Andriani) e una
coordinatrice del settore socio sanitario molto brava (Martina
Pertile) per cui siamo riuscite a creare l’albo delle associazioni
della Sesta Circoscrizione e la pagina online sul sito del Comune di
Verona. Abbiamo anche fatto la festa per conoscerci tutti (che siamo
tanti) e presentarci alla popolazione, presente pure l’assessore
Bertacco. Tutte le altre 7 circoscrizioni dovrebbero fare
altrettanto, così tutto il Comune sarebbe coperto e tutti saprebbero
cosa c’è sul territorio e quindi sarebbe molto più facile avere
servizi e appunto creare quella rete di cui parlavo sopra, in
sinergia con gli enti pubblici.
Poi:
neanche due settimane fa ho scritto all’assessore Bertacco e al
consiglio Comunale (ma anche in Regione, al direttore della ussl 9
scaligera e ad un sacco di altri destinatari) per sapere che tipo di interventi avessero approntato
nei confronti dei caregiver familiari, cioè quelle persone come il
signore di Veronetta, che si devono fare carico dell’assistenza di
una famigliare non autosufficiente.
Dal
2013 come associazione seguiamo l’iter della legge che ormai da più
di 20 anni si aspetta ma non esce e ciclicamente avviamo campagne di
informazione e mobilitazione poiché nemmeno tra le persone c’è la
consapevolezza di questa figura che hai diritti che non sono rispettati.
La
legge appunto servirebbe a fare finalmente ordine intorno a questa
figura che al momento coinvolge quasi 9 milioni di italiani, in
maggioranza donne, anche minori che si prendono cura di un familiare
non autosufficiente (che non signifca solo “anziano”).
Il
Comune di Verona dopo una mozione presentata dalla consigliera Maria
Fiore Adami nel 2017 che sollecitava appunto a fare qualcosa, non ha
mai neanche affrontato l’argomento.
L’assessore
Bertacco è membro anche della commissione al Senato che si occupa
della gestazione della legge nazionale ed è anche uno dei
cofirmatari del DDL che sembra essere quello che diventerà legge.
Ma
nessuno di coloro ai quali ho scritto ha mai risposto. In testa il
senatore/assessore Bertacco, nonostante io sia andata, ancora nel
2017, a presentarmi ed illustrare la attività della mia
associazione, il mio impegno per la causa dei caregiver italiani e
avergli passato le nostre osservazioni da inserire nella legge.
Capisco
che può succedere che un’associazione non stia simpatica e quindi
si faccia finta che non esista e neanche si capisca bene quello di
cui si occupa, ma non affrontare un argomento del genere e tentare di
trovare delle soluzioni, questo non lo capisco.
Se
la Fevoss avesse avuto le informazioni del caso, perché c’è una
rete e collegamento tra servizi diversi, forse non sarebbe successo
niente e questo signore, che è trattato ora come un delinquente e
non la vittima di un sistema carente, sarebbe a casa sua con suo
padre, vivo.
(La foto in alto che mostra le autoambulanze sul luogo dei fatti, viene da TgVerona.it)
3 commenti:
In seguito a questo tragicissimo accaduto posso solo ricordare quanto sia importante la collaborazione,non solo fra associazioni ma anche con gli enti!!!
Penso anche che a fatto avvenuto sia superfluo incolpare qualcuno, ma credo che si possa fare qualcosa di molto più proficuo... lavorare sodo affinché certe cose non succedano ancora.
Scusate non l'ho scritto prima io sono Martina Pertile
Grazie Consigliere Pertile, questo post è stato fatto per appunto indurre tutti alla riflessione e nella speranza che enti e amministrazione finalmente agiscano nel concreto facendosi carico di tutta questa categoria di persone che a Verona abbonda è "invisibile". La nostra associazione si è sempre messa a disposizione per qualsiasi tipo di contributo.
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