sabato 18 ottobre 2008

UNA CULTURA NUOVA

All'inizio della nostra "avventura", pensavo che, forse, per mio figlio sarebbero serviti luoghi appositi e tempi diversi. Col senno di poi, mi chiedo quanto questo mio pensiero fosse tutto mio e non in grande parte il riflesso di ciò che mi trasmettevano medici, riabilitatori, operatori del sociale - unici nostri interlocutori all'epoca.
Questo "ciò" fa parte di una certa cultura, largamente condivisa persino dagli stessi genitori.
Nonostante li avessi cercati da tutte le parti - perchè noi comunque uscivamo e andavamo al centro commerciale, al parco, in piscina, in montagna, al mare, in centro a passeggiare, nel borgo a fare le commissioni quotidiane - altri genitori non se ne vedevano. Avrei voluto tanto partecipare o creare un gruppo di Auto Mutuo Aiuto ma da noi non si usa, anzi il trend è che tutto va gestito e contenuto nelle mura domestiche.
Solo dopo molti mesi, approdando ad un centro di riabilitazione ho incontrato altri genitori.
L'impatto della prima volta fu traumatico: tu arrivi nella sala d'aspetto, tutti ti guardano ma nessuno ti saluta. Le espressioni dei volti poi! Dolore pietrificato. Nessuno guardava gli altri nè scambiava una chiacchiera.
Silenzio.
Interrotto a tratti da qualche pianto di bimbo dietro a una delle tante porte.
Robe da girar i tacchi e correre via.
Il nostro "buongiorno" risuonò per parecchi secondi nella sala come come una piuma lasciata cadere toccando il suolo, dopo infiniti dondolii.
Dopo l'ora canonica ce ne andammo salutando e almeno qualcuno rispose.
Dopo un anno le cose sono molto migliorate: conosco per nome parecchi bambini, un paio di mamme si sbilanciano a scambiare qualche frase, con una nonna ci siamo raccontate le rispettive peripezie.
Se al mondo mostriamo maschere affrante e silenzio e stiamo nel confortevole guscio di casa, il mondo non vorrà avere molto a che fare con noi e si farà una certa sua idea sul nostro conto.
Il dolore è comprensibile, ma non può essere una scusa per vivere male: confrontarsi con chi vive la nostra stessa esperienza è fondamentale per capire che non si è soli e che la vita va riorganizzata si, ma rimane la tua vita dove puoi farci entrare le gite, le pizzate con gli amici, i concerti, il cinema e anche la palestra o il calcetto, perchè no?
Sempre per la cultura diffusa e difficile da scrostare (ma per ogni macchia esiste il detersivo adatto, dicono) chi dovrebbe fornirti i servizi, quando tu li richiedi, ti risponde con la classica frase "Sento una grande sofferenza...".
Eccerto che soffro! Sei la decima persona cui chiedo la stessa cosa e ottengo come risposta "Non conosco questa legge", "Lei è la prima che fa questa richiesta", "Non saprei ma credo di no": minimo ti viene il latte alle ginocchia e, se fossi uomo, probabilmente si dilaterebbe qualcosa, laggiù. E qui ti tocca veramente un corso acellerato alla Rocky Marciano: tener testa ai burocrati (non tutti per fortuna ma ahinoi molti) vale la medaglia d'oro alle olimpiadi della pazienza. Ma non mollando contribuiamo a cambiare questa cultura che ormai è obsoleta e da mandare in soffitta.
Fatevi tosti anche voi. Ne vale la pena.
Piccola dedica musicale (perchè ancora non ho imparato a caricare i video):
p.s.: no, la signora nella foto del primo post non sono io, bensi Erma Bombeck, giornalista e scrittrice, portatrice di malattia rara e di un ancor più rara vis comica.

1 commento:

Anonimo ha detto...

entrare nel mondo della disabilità è scioccante e doloroso.
Solo chi lo vive può capirlo, girarci intorno e lavorare con un disabile può aiutare a capire ma un genitore ha un suo impatto particolare. Perchè??? Perchè c'è l'amore che lo lega al figlio che è un rapporto UNICO ..... e gli altri......bè gli altri sono fuori da questo giro!!