Leggevo oggi un articolo de La Nazione in cui si parla di un signore che ha un negozio, in cui ha inserito un dipendente disabile, proveniente dal progetto di agricoltura sociale voluto e sostenuto da un'associazione, il centro di igiene mentale sul territorio e da ben 5 aziende. Leggevo, sempre oggi, su Il Giorno "Un piano provinciale per dare lavoro a oltre tremila lavoratori disabili nonostante la crisi (su un totale di 5.157 iscritti agli elenchi). È stato presentato ieri il Piano provinciale 2011/2012 per l'occupazione disabili (Lift: lavoro integrazione, formazione e territorio), predisposto dalla Provincia di Monza e Brianza secondo le norme regionali, con le risorse stanziate dalla Regione."
Mi viene in mente, poi, la Regione Emilia Romagna di cui ho sentito parlare, al convegno finale di Handimatica, lo scorso novembre, sia la responsabile del'inserimento lavorativo presso il Comune di Bologna Claudia Romano che l'on. Donata Lenzi - che è stata una delle firmatarie dell'interpellanza dell'on. Amalia Schirru, per cancellare quell'emendamento che aboliva la priorità dei disabili a favore delle vedove e degli orfani del terrorismo, per il collocamento al lavoro. Con che passione parlavano dell'inserimento lavorativo queste due esponenti dell'ente pubblico!
So di realtà in cui i genitori stessi si sono messi insieme e hanno creato delle opportunità lavorative per i loro figli e per i figli degli altri.
Immagino che realtà così ce ne saranno decine in tutto il nostro Paese, magari sono insufficienti (ma chi può dirlo? Ci sono dati in merito, qualcuno che monitora?) ma testimoniano che se si vuole si fa e viene coinvolto anche l'interlocutore pubblico.
Quindi sono ancora qui a chiedermi perchè, una delle figure coinvolte nella riabilitazione di mio figlio, appena ha saputo che l'anno prossimo andrà in prima elementare, ha avuto una reazione scomposta, facendomi notare, prima, che era possibile stare alla materna un altro anno – i nostri figli sono già indietro di loro, invece di adoperarsi per rimetterli in pari con i compagni, o perlomeno a provarci, li si lascia nel limbo protetto per un altro anno?
Poi, con fare perentorio, ha vaticinato: "Dopo la scuola dell'obbligo c'è il nulla".
"Eh?".
"Sì, c'è solo il CEOD!". (*)
Confesso che se avessi visto uno gnomo sbucare dalla sua scrivania, sarei rimasta meno spiazzata: ancora non abbiamo iniziato questa scuola dell'obbligo e mi devo mettere a pensare a quando finirà?
Cosa sono, 10 anni – se non viene bocciato?
In questi 10 anni che facciamo, ci mettiamo nel loculo ad aspettare?
Fanno così gli altri genitori, intendo quelli dei figli normo?
Ma poi chi lo dice (cioè chi ha il potere di dirlo, al momento) che mio figlio non potrà proseguire all'università? Magari quelle stesse persone che dicevano che non avrebbe parlato, non avrebbe camminato e quindi era inutile tentare qualsiasi cosa. Ah complimenti, è questo l'approccio italiano?
Certo, se la mentalità è quella che una persona come mio figlio è da assistere piuttosto che provare a rendere autonoma, in Italia non andiamo da nessuna parte, eccetto che nei ghetti.
Mi viene in mente per esempio la storia di Silvia, che ha segnalato mresciani in un suo post. Se ci fosse stato uno o più di quelle persone che seguono lei e la sua famiglia che avesse detto "è troppo grave per andare a scuola, deve stare a casa", che sarebbe successo? Mi viene in mente quel ragazzo che muove solo un muscolo della gamba, eppure fa lo stilista.
Non contenta, o forse, chissà?, non sono riuscita assolutamente a decifrare la disposizione d'animo che originava il tutto, questa persona ha continuato ad infierire (non trovo altro verbo più acconcio a descrivere l'azione) dicendo che lavoro non ce n'è e che bisogna guardare in faccia la realtà perchè mio figlio non è in grado di lavorare.
Mio figlio ha 5 anni.
Ci sono ragazzoni normodotati che a trenta-trentacinque sono ancora a casa dei genitori e non lavorano.
Ci sono ragazzi normo che della scuola se ne fregano, stanno fuori tutte le notti fino all'alba e si spaccano a bere, fumare e drogarsi.
Mio figlio ha avuto la grande sfiga, senza chiederlo né sceglierlo, ma ce l'ha avuta, di nascere disabile, e non ha commesso nessun crimine né si butta via a vuoto, ma anzi si impegna a fondo (e noi con lui) in un mondo che non è a sua misura e pieno di ostacoli soprattutto culturali: devo pensare ADESSO che la sua vita (ammesso che) sarà senza chance?
Ma che senso ha la vita, per questa persona, voglio dire c'è una vita di serie A e una di altra serie, inferiore, a scartamento ridotto, per i disabili?
Poiché invece io la penso come un certo signore autore del bellissimo motto "trasformiamo la sfiga in sfida" e "Si può fare" non è solo un film ma la storia vera di una realtà che probabilmente ha frantumato i pregiudizi, metto in conto anche quest'episodio, fa volume nel libro delle esperienze che segnano il percorso di noi genitori – lasciatemi considerare: già la nostra vita è difficile, complicata, nello specifico non ho nemmeno la fortuna né economica né parentale, eppure mai ho pensato che fossimo sfigati né che mio figlio fosse un poverino e non mi sono mai strappata i capelli commiserando la nostra situazione.
Al contrario ho sempre cercato, e mio marito con me, di trarre il massimo, di vedere il bicchiere mezzo pieno e, nonostante il caratteraccio ursigno, il sorriso non m'è mai mancato.
L'atteggiamento di questa persona perciò è per me incomprensibile: i genitori li devi supportare non certo umiliare come se, desiderando l'integrazione, commettessero chissà quale peccato.
La sensazione è che per certe persone (fortunatamente non tutte!) sebbene lavorino nel campo è impensabile che un genitore sia sereno, faccia progetti, abbia aspettative, altrimento non mi spiego questi tentativi di schiacciamento al suolo. E mi sfugge il senso di vite così....
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(*) ho messo il primo link fatto bene che ho trovato ;)
4 commenti:
Ho una cara amica, che oltre ad essere stata terapista di mio figlio, è una formidabile formatrice di insegnanti, terapisti e figure professionali che lavorano nel ambito della riabilitazione e della disabilità. A conclusione dei suoi corsi spesso racconta questa breve storia, che racchiude un significato rilevante: leggetela fino in fondo e capirete perché ha molta attinenza con quanto scritto da orsatosta:
LA FARFALLA AZZURRA
(traduzione di Katia Fontana – esperta processi cognitivi)
C’era un padre che viveva con due figlie, curiose ed intelligenti.
Le due fanciulle gli ponevano sempre tante domande. Ad alcune di esse sapeva rispondere, ad altre no.
Dal momento che intendeva offrire loro la migliore educazione possibile, inviò durante le vacanze le bambine da un saggio che viveva in cima alla collina.
Il saggio rispose senza esitazione a tutte le loro domande.
Un po’ irritate, le bambine cercarono allora di trovare una domanda alla quale non potesse dare una risposta esatta.
Finalmente una di loro un giorno si incamminò verso la casa del saggio portando con sé una farfalla azzurra che avrebbe utilizzato per trarlo in inganno.
“Che intendi fare?” le chiese la sorella. “Nasconderò la farfalla nella mano e domanderò al saggio se è viva o se è morta” – “Se dirà che è morta, aprirò la mano e la lascerò volare via. Se dirà che è viva, la schiaccerò serrandola forte nella mano. In questo modo, qualsiasi risposta darà, sarà una risposta sbagliata”.
Le due bambine giunsero così dal saggio che stava meditando. “Ho in mano una farfalla azzurra. Mi dica, o saggio: è viva o è morta?”
Con tutta tranquillità il saggio sorrise e rispose:
“Dipende da te. Sta nelle tue mani”
Così è pure della nostra vita, del nostro presente e del nostro futuro.
Non dobbiamo gettare la colpa sugli altri: noi siamo i responsabili di quello che saremo (o di quello che non saremo).
La nostra vita sta nelle nostre mani come la farfalla azzurra.
Dipende da noi fare di essa ciò che vogliamo.
Con questa metafora volevo sensibilizzare sulla presa in carico delle persone più fragili; volevo far capire come la qualità di vita di queste persone sia nelle nostre mani, e quanto dipenda da noi società accoglierli e, come la farfalla azzurra, LIBERARE LE LORO POTENZIALITA' E FARLI VOLARE OPPURE SCHIACCIARLI NELLE LORO STEREOTIPIE E NELL'EMARGINAZIONE.
Aurora mi ha molto stupito quest'anno. Le piacciono le lingue straniere, ha molto orecchio per la pronuncia e - con mia grande meraviglia - anche una discreta correttezza ortografica.
L'anno scorso ci disse che doveva imparare l'inglese perché da grande sarebbe andata a vivere a Londra con le sue amiche.
Noi abbiamo deciso di sostenere questo suo desiderio e di crederci anche noi. Quando l'abbiamo detto alla docente d'inglese le è scappata una specie di espressione di compatimento ma non ci siamo arrabbiati: chi non la conosce e non sa da dove è partita non sa neanche dove può arrivare. Del resto non lo sappiamo neanche noi. Perché tarparci le ali? :-)
Avrei tante cose da dire.........
bellissima la storia della farfalla, timeout!
certo che mi fa un po' specie questo incaponirsi da parte della bambina di voler "gabolare" il saggio a tutti i costi......
@mariagrazia: bello! il fatto è che la persona di cui nel post, invece, mio figlio lo conosce e l'ha visto nel mentre che faceva i vari progressi.....
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