Arriva dal Friuli una storia, il cui racconto lasciamo alla lettera che segue.
Spesso abbiamo scritto su questo blog del linguaggio e quindi della comunicazione, come aspetti che vengono puntualmente trascurati nella (ri)abilitazione per i nostri figli e chi scrive lo sa anche troppo bene.
Questa è una storia di discriminazione che deve avere tutta la nostra attenzione e supporto perchè non è possibile che, ancora, nel terzo millennio, si neghi ai nostri figli il diritto allo studio poiché "L'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap." - questo non lo dico io ma la legge 104/92, art.12 comma 4.
Dall'iniziativa che ha intrapreso questa battagliera associazione goriziana, che si chiama appunto "Diritto di parola", ci auguriamo che scaturisca un accordo non solo con la scuola di questi tre ragazzi, ma con il Ministero dell'Istruzione, per tutti i ragazzi.... noi GT ci occupammo di un caso analogo nel 2008, questa è la lettera che scrivemmo.
Maria Chiara e Giuseppe, 18 anni, Chiara 16 anni, tutti e tre con sindrome di Down, si sono visti in breve tempo privati del loro diritto di sentirsi parte, nonostante la diversità che il loro danno genetico comporta, della scuola di tutti. E ciò che fa ancora più male è che questo loro diritto sia stato negato in totale contraddizione con lo stesso operato della scuola che fino a quel momento aveva favorito e reso possibile un percorso formativo perfettamente integrato nel curricolo delle varie classi di appartenenza. In breve ecco la loro storia. Fin dai primi anni di frequenza della scuola primaria e poi della secondaria di 1° grado, famiglie e insegnanti hanno lavorato di comune accordo con l’obiettivo di individuare e mettere in pratica tutte le possibili strategie in grado di mettere in luce e valorizzare le loro capacità di apprendimento. La sindrome di Down, come diverse altre patologie che comportano una disarmonica integrazione delle funzioni neuropsicologiche e cognitive, compromette in modo rilevante in chi ne è affetto la relazione con la realtà esterna, a partire dalla comunicazione verbale, che risulta – in mancanza di opportune strategie alternative di supporto – povera, frammentaria, ripetitiva e disorganizzata. Tutto ciò viene spesso interpretato come sintomo di scarsa intelligenza, di ritardo mentale medio- grave, che “giustifica” nelle persone “normali” l’atteggiamento di “benevolo” paternalismo nei confronti dei disabili. Ma la storia dei tre ragazzi era cominciata appunto in modo diverso. Grazie alla collaborazione di scuola e genitori, cui si è accennato, avevano potuto avvalersi, fino al termine della secondaria di 1° grado Chiara e fino al termine del biennio del Liceo Scientifico di Gorizia gli altri due, della strategia alternativa di comunicazione denominata Comunicazione Facilitata (CF), mediante la quale, riuscendo a riorganizzare le funzioni neuropsicologiche compromesse dalla loro patologia, hanno potuto dimostrare di possedere capacità di pensiero e di rielaborazione dei contenuti trasmessi dalla scuola. La CF, per chi non la conosce, è certamente un approccio all’handicap sconvolgente, perché è in netto contrasto con il senso comune. È difficile per un “normale” credere che la persona che appare così palesemente handicappata, che non sa esprimersi autonomamente, abbia poi un mondo interiore ricco anche di “pensieri” e non sia solo in grado di manifestare emozioni a livello infantile. Per questo motivo la CF è spesso avversata a-priori, senza entrare nel merito del suo funzionamento e senza conoscere minimamente i risultati che ha permesso di ottenere in molti casi (sia nella scuola superiore sia all’Università) che un tempo sarebbero stati reputati irrecuperabili e che non avrebbero avuto accesso a studi superiori. Ma, ripetiamo, la storia dei tre ragazzi era cominciata sotto i migliori auspici: i docenti di sostegno si erano resi disponibili a sperimentare la CF e i docenti delle diverse discipline avevano valutato molto positivamente il profitto raggiunto, tanto da orientare Chiara al liceo scientifico di Monfalcone (GO) e di certificare, nel caso di Giuseppe e Maria Chiara, la loro idoneità ad affrontare il triennio. I problemi sono cominciati per i ragazzi più grandi lo scorso anno, all'inizio della classe terza, e per Chiara soprattutto nell’attuale secondo anno del biennio, quando la scuola, nonostante i buoni risultati conseguiti in precedenza, su indicazione dell’Ufficio Scolastico Provinciale (che tra l’altro non ha alcuna competenza per entrare nel merito dell’autonomia didattica), ha deciso di non continuare nell'applicazione della CF, creando notevoli difficoltà ai ragazzi, non più messi in condizione di esprimere i loro saperi. L’anno scorso, di fronte alle chiusure degli insegnanti del triennio, le famiglie di Maria Chiara e di Giuseppe avevano deciso di ritirarli dal liceo che frequentavano a Gorizia per iscriverli allo scientifico di Cervignano (UD), scuola che si era dichiarata disponibile ad avviare una sperimentazione sulla CF con l’appoggio dell’Azienda Sanitaria. Ma con il nuovo anno le cose sono cambiate in modo radicale, riproducendosi inspiegabilmente nel liceo di Cervignano le stesse chiusure dell’anno precedente e peggiorando sensibilmente la situazione già precaria di Chiara nella scuola che continuava a frequentare. Il fatto è che l’Ufficio Scolastico Provinciale (sia quello di Gorizia che quello di Udine erano all’epoca diretti dalla stessa persona, il professor Biasiol) e la Direzione Scolastica Regionale – non sappiamo quanto sollecitati o meno dagli stessi Dirigenti scolastici – sono intervenuti con proprie comunicazioni e in un ambito – è il caso di ribadirlo nuovamente – di mera competenza delle singole scuole, dichiarando che la CF non può essere utilizzata in sede di valutazione, contraddicendo in questo una precisa norma nazionale che discende dalla Legge 104/ 92 e che dichiara esplicitamente che per gli alunni “handicappati sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per l'effettuazione delle prove scritte o grafiche e la presenza di assistenti per l'autonomia e la comunicazione” (la sottolineatura è nostra). Ogni verifica è diventata pertanto un fallimento, una sequela di voti pesantemente negativi che lede l’autostima dei ragazzi. Ciò naturalmente è imputato dalle scuole alle famiglie, “colpevoli” di non riconoscere l’handicap dei propri figli, quasi che queste avessero rifiutato la certificazione e il conseguente sostegno, ovvero come se il sostegno equivalesse tout-court alla differenziazione del programma e non appunto alla messa in atto di tutti quei supporti che sono necessari a colmare il gap che l’handicap comporta. Ma oltre ai voti negativi, ciò che è peggio è che i ragazzi hanno iniziato a sentire attorno a sé un clima di sospetto, ad avvertire che per compagni e insegnanti le loro capacità cognitive sono reputate il risultato di un “trucco”. Ciò li ha fatti precipitare in uno stato di sofferenza fino alla depressione. Perché non si vuole permettere a questi studenti di continuare il corso di studi prescelto, supportati da strategie che permettano loro di superare le difficoltà dovute alla loro disabilità? Hanno forse osato troppo? Questo almeno per un ambiente culturale e sociale di scarse vedute. Certo, la scuola li ha iscritti e accettati ma a patto che rimangano nel loro ghetto, cioè all’interno di un programma che nulla ha a che vedere con quello della classe di appartenenza. Valeva la pena di abolire le classi differenziali se poi vengono comunque replicate con l’ipocrita aggravante che sono mascherate all’interno di una classe normale? Fine di un sogno? Per cercare di risolvere queste scandalose situazioni e consentire non solo a questi tre ragazzi ma anche a tutti quelli che necessitano di tecniche alternative per comunicare e svolgere il lavoro scolastico, abbiamo pensato di attivare una petizione a livello nazionale, al link http://www.petizionepubblica.it/?pi=P2011N7445 assieme alla rete di Centri e Associazioni specializzati nella CF, a cui le persone sensibili possano aderire per tutelare i diritti di chi non può esprimere i propri bisogni. Finora hanno firmato la petizione, e solo nella forma on-line, più di 1900 persone, fra le quali molti docenti di varie Università italiane, da nord a sud, intellettuali e gente comune, esponenti del mondo culturale e letterario, come poeti, scrittori, pittori, musicisti, professionisti, che con la loro sensibilità hanno voluto dare pieno appoggio all'iniziativa. La petizione ha assunto anche carattere internazionale con firme dall'Australia, Malta, Stati Uniti! La discriminazione che oggi tocca a noi può colpire domani qualunque persona che per un qualsiasi motivo sia difforme dal senso comune: quando è leso il diritto di uno è tutto l’edificio della giustizia che viene incrinato. Grazie a chi raccoglierà questo appello. Per l’Associazione “Diritto di Parola” di Gorizia Prof. Fabio Sesti Recapiti: 339 5829241 0481 534765 349 1647362
Maria Chiara e Giuseppe, 18 anni, Chiara 16 anni, tutti e tre con sindrome di Down, si sono visti in breve tempo privati del loro diritto di sentirsi parte, nonostante la diversità che il loro danno genetico comporta, della scuola di tutti. E ciò che fa ancora più male è che questo loro diritto sia stato negato in totale contraddizione con lo stesso operato della scuola che fino a quel momento aveva favorito e reso possibile un percorso formativo perfettamente integrato nel curricolo delle varie classi di appartenenza. In breve ecco la loro storia. Fin dai primi anni di frequenza della scuola primaria e poi della secondaria di 1° grado, famiglie e insegnanti hanno lavorato di comune accordo con l’obiettivo di individuare e mettere in pratica tutte le possibili strategie in grado di mettere in luce e valorizzare le loro capacità di apprendimento. La sindrome di Down, come diverse altre patologie che comportano una disarmonica integrazione delle funzioni neuropsicologiche e cognitive, compromette in modo rilevante in chi ne è affetto la relazione con la realtà esterna, a partire dalla comunicazione verbale, che risulta – in mancanza di opportune strategie alternative di supporto – povera, frammentaria, ripetitiva e disorganizzata. Tutto ciò viene spesso interpretato come sintomo di scarsa intelligenza, di ritardo mentale medio- grave, che “giustifica” nelle persone “normali” l’atteggiamento di “benevolo” paternalismo nei confronti dei disabili. Ma la storia dei tre ragazzi era cominciata appunto in modo diverso. Grazie alla collaborazione di scuola e genitori, cui si è accennato, avevano potuto avvalersi, fino al termine della secondaria di 1° grado Chiara e fino al termine del biennio del Liceo Scientifico di Gorizia gli altri due, della strategia alternativa di comunicazione denominata Comunicazione Facilitata (CF), mediante la quale, riuscendo a riorganizzare le funzioni neuropsicologiche compromesse dalla loro patologia, hanno potuto dimostrare di possedere capacità di pensiero e di rielaborazione dei contenuti trasmessi dalla scuola. La CF, per chi non la conosce, è certamente un approccio all’handicap sconvolgente, perché è in netto contrasto con il senso comune. È difficile per un “normale” credere che la persona che appare così palesemente handicappata, che non sa esprimersi autonomamente, abbia poi un mondo interiore ricco anche di “pensieri” e non sia solo in grado di manifestare emozioni a livello infantile. Per questo motivo la CF è spesso avversata a-priori, senza entrare nel merito del suo funzionamento e senza conoscere minimamente i risultati che ha permesso di ottenere in molti casi (sia nella scuola superiore sia all’Università) che un tempo sarebbero stati reputati irrecuperabili e che non avrebbero avuto accesso a studi superiori. Ma, ripetiamo, la storia dei tre ragazzi era cominciata sotto i migliori auspici: i docenti di sostegno si erano resi disponibili a sperimentare la CF e i docenti delle diverse discipline avevano valutato molto positivamente il profitto raggiunto, tanto da orientare Chiara al liceo scientifico di Monfalcone (GO) e di certificare, nel caso di Giuseppe e Maria Chiara, la loro idoneità ad affrontare il triennio. I problemi sono cominciati per i ragazzi più grandi lo scorso anno, all'inizio della classe terza, e per Chiara soprattutto nell’attuale secondo anno del biennio, quando la scuola, nonostante i buoni risultati conseguiti in precedenza, su indicazione dell’Ufficio Scolastico Provinciale (che tra l’altro non ha alcuna competenza per entrare nel merito dell’autonomia didattica), ha deciso di non continuare nell'applicazione della CF, creando notevoli difficoltà ai ragazzi, non più messi in condizione di esprimere i loro saperi. L’anno scorso, di fronte alle chiusure degli insegnanti del triennio, le famiglie di Maria Chiara e di Giuseppe avevano deciso di ritirarli dal liceo che frequentavano a Gorizia per iscriverli allo scientifico di Cervignano (UD), scuola che si era dichiarata disponibile ad avviare una sperimentazione sulla CF con l’appoggio dell’Azienda Sanitaria. Ma con il nuovo anno le cose sono cambiate in modo radicale, riproducendosi inspiegabilmente nel liceo di Cervignano le stesse chiusure dell’anno precedente e peggiorando sensibilmente la situazione già precaria di Chiara nella scuola che continuava a frequentare. Il fatto è che l’Ufficio Scolastico Provinciale (sia quello di Gorizia che quello di Udine erano all’epoca diretti dalla stessa persona, il professor Biasiol) e la Direzione Scolastica Regionale – non sappiamo quanto sollecitati o meno dagli stessi Dirigenti scolastici – sono intervenuti con proprie comunicazioni e in un ambito – è il caso di ribadirlo nuovamente – di mera competenza delle singole scuole, dichiarando che la CF non può essere utilizzata in sede di valutazione, contraddicendo in questo una precisa norma nazionale che discende dalla Legge 104/ 92 e che dichiara esplicitamente che per gli alunni “handicappati sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per l'effettuazione delle prove scritte o grafiche e la presenza di assistenti per l'autonomia e la comunicazione” (la sottolineatura è nostra). Ogni verifica è diventata pertanto un fallimento, una sequela di voti pesantemente negativi che lede l’autostima dei ragazzi. Ciò naturalmente è imputato dalle scuole alle famiglie, “colpevoli” di non riconoscere l’handicap dei propri figli, quasi che queste avessero rifiutato la certificazione e il conseguente sostegno, ovvero come se il sostegno equivalesse tout-court alla differenziazione del programma e non appunto alla messa in atto di tutti quei supporti che sono necessari a colmare il gap che l’handicap comporta. Ma oltre ai voti negativi, ciò che è peggio è che i ragazzi hanno iniziato a sentire attorno a sé un clima di sospetto, ad avvertire che per compagni e insegnanti le loro capacità cognitive sono reputate il risultato di un “trucco”. Ciò li ha fatti precipitare in uno stato di sofferenza fino alla depressione. Perché non si vuole permettere a questi studenti di continuare il corso di studi prescelto, supportati da strategie che permettano loro di superare le difficoltà dovute alla loro disabilità? Hanno forse osato troppo? Questo almeno per un ambiente culturale e sociale di scarse vedute. Certo, la scuola li ha iscritti e accettati ma a patto che rimangano nel loro ghetto, cioè all’interno di un programma che nulla ha a che vedere con quello della classe di appartenenza. Valeva la pena di abolire le classi differenziali se poi vengono comunque replicate con l’ipocrita aggravante che sono mascherate all’interno di una classe normale? Fine di un sogno? Per cercare di risolvere queste scandalose situazioni e consentire non solo a questi tre ragazzi ma anche a tutti quelli che necessitano di tecniche alternative per comunicare e svolgere il lavoro scolastico, abbiamo pensato di attivare una petizione a livello nazionale, al link http://www.petizionepubblica.it/?pi=P2011N7445 assieme alla rete di Centri e Associazioni specializzati nella CF, a cui le persone sensibili possano aderire per tutelare i diritti di chi non può esprimere i propri bisogni. Finora hanno firmato la petizione, e solo nella forma on-line, più di 1900 persone, fra le quali molti docenti di varie Università italiane, da nord a sud, intellettuali e gente comune, esponenti del mondo culturale e letterario, come poeti, scrittori, pittori, musicisti, professionisti, che con la loro sensibilità hanno voluto dare pieno appoggio all'iniziativa. La petizione ha assunto anche carattere internazionale con firme dall'Australia, Malta, Stati Uniti! La discriminazione che oggi tocca a noi può colpire domani qualunque persona che per un qualsiasi motivo sia difforme dal senso comune: quando è leso il diritto di uno è tutto l’edificio della giustizia che viene incrinato. Grazie a chi raccoglierà questo appello. Per l’Associazione “Diritto di Parola” di Gorizia Prof. Fabio Sesti Recapiti: 339 5829241 0481 534765 349 1647362
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