Giornalista, si occupa di diritti, inclusione, lavoro, disabilità, ambiente e sanità. 'E anche responsabile ufficio stampa e copywriter. Dal 2022 si occupa di consulenza e di progettazione di percorsi formativi legati ai diritti e all’inclusione. Mamma di due fanciulli, attivista (intransigente) sul tema dei diritti da ormai vent’anni, è anche una caregiver familiare.
L'abbiamo intervistata perchè ha tenuto il primo corso nazionale dedicato ai caregiver familiari.
Ci racconti chi è e che cosa fa un diversity e disability manager?
Per prima cosa grazie mille per avermi coinvolta in questa intervista e per l’opportunità di parlare di temi importanti: stavolta passo dalla parte dell’intervistata. Intanto premetto che ci può essere la figura del/della diversity manager (che spesso è la più gettonata), del/della disability manager (negli anni Ottanta già esisteva in America, Canada e Nord Europa, in Italia invece ancora oggi è troppo poco diffusa, con tutti gli effetti negativi del caso) o del/della diversity e disability manager. Ragionando sull’ultimo connubio, questa figura si occupa di facilitare, promuovere e valorizzazione l’inclusione, prevenendo al contempo le discriminazioni e progettando percorsi formativi e di integrazione lavorativa. Queste figure possono gestire anche la fase di selezione oltre che di inserimento lavorativo. Focalizzandomi in particolare sulla figura del disability manager, essa si occupa dell’intero processo dell’integrazione socio-lavorativa della persona con disabilità, inclusi i cosiddetti accomodamenti ragionevoli che sono fondamentali per permettere di godere ed esercitare i diritti su base di uguaglianza con gli altri come esplicitato in uno dei punti cardine della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Queste figure possono lavorare per gli enti pubblici (anzi, gli enti pubblici con più di 200 dipendenti dovrebbero esserne dotati secondo normativa!), aziende, associazioni, scuole, università, etc.
Per ottenere questa qualifica bisogna fare un master universitario, giusto?
Tornando alla premessa di prima, la maggior parte della formazione si focalizza su un percorso o su un altro, ossia diversity o disability, in alcuni casi su entrambi ma per esperienza noto che non sempre tutti e due i fronti sono affrontati in maniera accurata. In giro ci sono diversi corsi di formazione e purtroppo non mancano proposte che si rivelano specchietti per le allodole: in cambio di una cifra corposa e con la promessa di chiedere poche ore di presenza alle lezioni e studio (cosa appetibile per molti) promettono traguardi di scarso valore. Per i/le disability manager ci sono regioni che hanno stabilito i crismi ossia i requisiti per essere definiti tali e in genere i master universitari sono indicati come il livello più alto. Nel mio caso erano previste 1.500 ore di attività didattica tra lezioni, project work ed esami specifici su ogni modulo affrontato. Occorreva passare tutti gli esami per poter accedere alla discussione finale del lavoro di tesi.Tornando al discorso generale dei master universitari va detto però che ciò che si chiama master non garantisce a priori e in automatico la qualità in toto. A mio avviso ci sono dei master o dei moduli affrontati in essi che andrebbero strutturati meglio e affrontando in maniera più concreta e accurata temi che sono magari solo sorvolati. Inoltre sarebbe bene coinvolgere maggiormente nella formazione figure che lavorino già come disability manager. Spesso si punta invece e paradossalmente su chi fa un altro lavoro: poi il rischio è di risultare poco coerenti e anche distanti dal focus tematico cardine. Inoltre andrebbe garantito un maggior collegamento con il mondo del lavoro trattandosi di una figura con una mansione molto concreta e importante. Va infine detto che purtroppo in alcune realtà lavorative, inclusi gli enti pubblici, si nominano come disability manager persone che già lavorano in quel determinato ente o in quella determinata azienda ma che non hanno alcuna formazione o preparazione al riguardo. È una dinamica che non rispetta la normativa e men che meno gli obiettivi di questa importante figura. Questo è squallido e anche fuori deontologia con ripercussioni su più livelli vista la situazione lacunosa a livello di inclusione lavorativa delle persone con disabilità e non solo. Porto un esempio dove purtroppo la realtà supera la fantasia. Per la mia esperienza ho conosciuto infatti persone con disabilità e assistenti sociali che lavoravano in enti pubblici e che agivano senza alcuna remora discriminazioni basate sulla disabilità sanzionabili secondo la legge 67/2006. Non erano disability manager ma avevano comunque un ruolo e un’esperienza diretta della condizione che come minimo avrebbero dovuto implicare la conoscenza dei diritti e il dovere a tutelarli. Questo per dire che nemmeno il ruolo o la condizione danno garanzia!
Consiglieresti questo percorso ai giovani e perché?
Focalizzandomi sul ruolo del/della disability manager consiglierei questa formazione a chiunque, indipendentemente dall’età, desideri approfondire il tema dell’inclusione lavorativa ma in generale dell’inclusione delle persone con disabilità oltre che della prevenzione dalle diverse forme di discriminazione che possono avvenire in diversi contesti che comprendono non solo quello lavorativo ma anche formativo, scolastico, culturale, sanitario, etc. Le discriminazioni spesso scaturiscono da stereotipi, pregiudizi e lacune e proliferano in contesti in cui scarseggiano o mancano del tutto percorsi formativi volti a favorire la consapevolezza su questi argomenti e la messa in discussione dei propri stereotipi. Poi in maniera specifica ovviamente si tratta di una formazione propedeutica a chi vuole avviarsi verso la professione vera e propria di disability manager. Spero in ogni caso che la formazione in quest’ambito migliori e che vengano accolti gli spunti e le proposte di miglioramento esplicitate da chi ha frequentati i percorsi.
Come mai hai scelto di tenere un corso per caregiver familiari?
Come avete posto in luce voi in maniera chiara e incisiva nel vostro libro “L’esercito silenzioso - I caregiver familiari italiani”, che ho menzionato più volte e preso anche come riferimento prezioso per la mia tesi di master, l’attenzione è per lo più posta solo sulla persona con disabilità in un’ottica, aggiungo io, tra l’altro assistenzialistica o di inclusione errata o stereotipata, come se l’inclusione fosse una gentile concessione da parte di un gruppo che pensa di poter decidere e accettare chi fa parte del gioco o meno quando non è così. L’inclusione è invece un processo che si costruisce insieme e che non si esaurisce mai e di questo processo fanno parte i e le caregiver familiari che hanno un ruolo cardine e che va valorizzato. Per farlo occorre rendere consapevoli di ciò gli stessi caregiver dando l’opportunità di essere informati e formati sui loro diritti e sulle leggi, tra gli obiettivi del mio corso. Spesso infatti i e le caregiver familiari subiscono essi stessi diverse discriminazioni, sia di tipo diretto o indiretto, in vari ambiti come quello lavorativo, formativo, sociale, culturale con pesanti ricadute negative a livello occupazionale, economico, relazionale, della disparità di genere (le donne caregiver sono le più colpite) e non da ultimo della salute. La stessa sindrome del burden del caregiver è a torto vista come l’esito ineluttabile dell’essere caregiver, come se avere un familiare con disabilità dovesse comportare fisiologicamente il non poter più riposare, il rinunciare a curarsi e allo svago, l’abbandonare il proprio lavoro e fare quello di altre figure, che sono tra l’altro pagate al posto del caregiver… questo è sbagliatissimo! Il burden del caregiver non è l’esito della disabilità (che non è mai una colpa) ma il risultato di un sistema che non adempie ai suoi doveri e abbandona la persona con disabilità e il suo caregiver costretto così a sfiorare il dono dell’ubiquità per fare tutto ciò che serve per sostenere il suo familiare perdendo anche la salute perché è un essere umano, con dei limiti e bisogni sacrosanti. Al contrario di quello che veicolano alcuni stereotipi, pur amando si ha bisogno anche di mantenersi, fare visite mediche, riposare, etc. Insomma, i caregiver non vivono d’aria e d’amore come pensano alcuni, ancora troppi. Conosco madri che si sono dovute trasformare in logopediste, fisioterapiste, educatrici, insegnanti di sostegno, infermiere, oltre ad occuparsi di pulizie, trasporti, burocrazia, etc. senza avere il minimo riconoscimento per il loro impegno soverchiante. Con il corso che ho realizzato ho voluto quindi scardinare questi stereotipi, purtroppo spesso traghettati anche da soggetti che si definiscono esperti del settore ma che evidentemente non lo sono e nemmeno conoscono il tema caregiving. C’è chi usa questi temi come fonte ulteriore di business a danno di chi con queste problematiche ci convive ogni giorno e senza sconti.
Com'è andata?
Il corso, intitolato “Caregiver familiari: il diritto all’inclusione”, è stato concretizzato a maggio 2024 a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, e ha avuto ottimi riscontri, sia in termini di partecipazione numerica, con oltre 50 partecipanti che hanno sforato il numero previsto di iscritti, sia per il coinvolgimento dimostrato dai e dalle partecipanti a livello di attenzione, ragionamento e confronto. Con diversi di essi sono ancora in contatto, mi chiedono informazione su alcuni temi e mi fa molto piacere il riscontro di stima ottenuto. Devo sottolineare che non sarebbe stato possibile realizzare questo percorso senza la preziosa sinergia e il concreto contributo della cooperativa sociale “Fiordaliso” alla quale avevo fatto la proposta mesi prima avendola individuata come una realtà seria e responsabile (requisiti per me fondamentali per collaborare professionalmente). La cooperativa ha messo a disposizione non solo una sede luminosa e funzionale, ma ha anche coperto interamente le spese del percorso formativo garantendo, come avevo caldeggiato e sperato, la totale partecipazione gratuita a tutti i caregiver iscritti che così non hanno dovuto sostenere alcuna spesa. Il presidente Luca Cimarosti e il resto dello staff presente durante gli incontri da me gestiti hanno dimostrato grande accoglienza oltre a una reale consapevolezza rispetto alle necessità che hanno i genitori e i caregiver in generale. Gli incontri sono stati infatti strutturati secondo le esigenze delle diverse fasce d’età coinvolte. Per i caregiver delle persone con disabilità adulte gli incontri si sono tenuti durante i giorni in cui i servizi erano già attivi per quest’ultime. Il sabato mattina era invece il giorno degli incontri dedicati ai e alle caregiver familiari di bambini e preadolescenti con disabilità, quindi minorenni. In questo caso la cooperativa metteva a disposizione delle figure educative che coinvolgessero i bambini e i ragazzi mentre i genitori erano impegnati a seguire il corso così da permettere loro un’ottimale conciliazione con la formazione e il non doversi sovraccaricare di ulteriori organizzazioni. Ci tengo a dire che il servizio era totalmente gratuito così come il percorso.
Pensi di tenerne un altro, magari online?
Sì, da quello che ho riscontrato c’è molta voglia di approfondire il tema e sempre secondo questo approccio che da un lato scardina gli stereotipi stessi sul caregiving e che dall’altro punta a parlare di diritti e a mettere in luce le storture del sistema cercando al contempo di affrontarle facendo riferimento ad elementi normativi e pratici. La gente è stanca di corsi fuffa che oltre a rinfocolare pericolosi stereotipi servono più a lustrare la vetrina di chi li tiene anziché offrire un’occasione di conoscenza e approfondimento vera. Inutile dire ai caregiver come rilassarsi se il sistema li mette in condizioni di non riuscirci proprio… una dinamica scorretta con cui si fa i conti e non certo per scelta!
Cosa diresti alle mamme caregiver?
Prima con il mio lavoro di giornalista che ho iniziato nel 2005 poi come disability manager mi sono confrontata con tantissime storie in carne e ossa che resteranno sempre con me. Non nascondo che alcune mi hanno anche tolto ore di sonno perché certe vicende sono un pugno nello stomaco: crea infatti molta rabbia sapere che avvengono dinamiche così tossiche e disoneste. Mi sono confrontata con storie di tenacia, voglia di farcela e infinita bellezza ma anche fatte di fatica, rabbia e abuso che coinvolgono vicende di mobbing, discriminazione e anche violenza psicologica subita da alcune donne caregiver nei luoghi di lavoro e in contesti familiari. Sono proprio queste storie, la voce e gli occhi di chi me le ha raccontate, a convincermi che non potevo limitarmi a raccontare e a denunciare queste vicende, pur nell’importanza che detiene il lavoro giornalistico serio, ma che dovevo anche impegnarmi a creare occasioni attive di formazione e di sensibilizzazione. Quindi a loro dico il grande grazie per la fiducia riposta in me e per aver consentito una sensibilizzazione. In generale alle madri caregiver ma anche ai padri e a tutti i caregiver familiari vorrei dire di tenere alzate sempre le antenne sui loro diritti e di non demordere nel pretendere il rispetto di questi anche se non è sicuramente facile. La difesa di un diritto ha infatti un effetto domino su tutto il resto. Colgo l’occasione, in merito al tema delle donne caregiver, di esplicitare una questione che ho già sollevato anche sui social. Tempo fa ho proposto a una realtà attiva sul tema della violenza di genere ed empowerment delle donne dei percorsi di formazione riguardanti il caregiving. Risposta: le aziende non sono interessate. Mi sono cadute le braccia perché la risposta è stata data da aziende che si professano paladine di certi temi che evidentemente è bello sbandierare ma poi quando si entra nella pratica risultano scomodi e scansabili. Perché se un’azienda parla di tutto ciò e intanto mobbizza una lavoratrice caregiver (con familiare con disabilità grave) per via ad esempio dei permessi 104 qualcosa non va proprio. Mi spiace infatti che il tema donne caregiver sia spesso messo all’angolo proprio da chi l’argomento donne e diritti lo sbandiera ogni giorno di facciata. Su questo dovremmo interrogarci seriamente per andare oltre le coccarde e le vetrine puntando alla sostanza e a ciò che serve.
Nessun commento:
Posta un commento