lunedì 28 aprile 2025

Perchè è importante la CARTA EUROPEA dei diritti del caregiver famialiare



 Pubblichiamo il comunicato proveniente dal network COFACE FAMILY EUROPE di cui noi GT siamo membri.

Nonostante la ministero della disabilità sappia di questa carta, non è pervenuto nessun feedback - non ce ne stupiamo.

Resta il fatto che se in Europa vigono leggi in materia, nessuno stato membro EU può tralignare.

Altrimenti faremo un'altra petizione a Bruxelles  come abbiamo fatto nel 2021 ottenendo che il nostro governo applicasse la direttiva europea  sulla conciliazione tempo di cura e lavoro.

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Opinione: Perché abbiamo bisogno di una Carta europea per i caregiver familiari?

Sono co-presidente della Piattaforma Disabilità di COFACE Families Europe, fondata quasi 30 anni fa per promuovere gli interessi delle persone con disabilità, delle loro famiglie e di chi si prende cura di loro, e il riconoscimento dei loro diritti lungo tutto l'arco della vita. Ho avuto il piacere di parlare del nostro lavoro europeo durante un seminario di studio chiamato  Cap'Lab , tenutosi in Francia a fine marzo.

In Europa, l'80% dell'assistenza è fornita a domicilio da familiari o amici e in media 2 persone su 10 sono assistenti.(1) Tra queste, 32 milioni di donne, che prestano assistenza 17 ore alla settimana secondo l' Organizzazione Mondiale della Sanità .

Fino agli anni '60, non esisteva il concetto di "badante", perché il ruolo era limitato a quello di una donna, madre, moglie o figlia, le cui uniche preoccupazioni erano il mantenimento della casa, l'educazione dei figli e il benessere del marito, che era responsabile di portare a casa il denaro necessario. Prendersi cura di un genitore anziano che sta perdendo la propria indipendenza, o di un figlio o coniuge non fisicamente abile, è una responsabilità "naturale". Era buona educazione, ed era anche un dovere. Per non parlare del fatto che le donne sono considerate predisposte alla maternità e alla cura degli altri! Gli stereotipi in questo ambito sono ancora molto vivi. Fino alla prima metà del XX secolo, nessuno metteva in dubbio questo fatto, nemmeno le donne stesse. Aiutare qualcuno a te vicino era "naturale", privo di valore o riconoscimento.

Tuttavia, con il progressivo abbandono delle cucine da parte delle donne per entrare nel mercato del lavoro, si è verificata una profonda transizione sociale all'interno della struttura familiare. Questo fatto, associato all'attuale invecchiamento della popolazione, ha evidenziato sia il valore del lavoro di cura familiare sia i rischi ad esso associati. Con l'aumentare dell'attenzione rivolta all'assistenza familiare, le questioni relative all'efficienza degli scambi all'interno della famiglia sono entrate nella sfera pubblica. Déchaux (1996) ha illustrato questo approccio quando ha scritto dell'"economia nascosta della parentela". Alla base di queste tendenze, un'altra domanda è diventata centrale: finiremo per rimanere senza assistenti familiari?

È in questo contesto che, nel 2003, la piattaforma COFACE Disability ha deciso di approfondire la questione di questi "carer naturali" o "carer stretti" o, più spesso in Europa, "carer informali", la maggior parte dei quali sono donne, che devono conciliare vita familiare e professionale, perdono risorse e mettono a rischio la propria salute. Abbiamo quindi iniziato con una panoramica della situazione in Europa (COFACE Disability, 2003), che ha mostrato come, nel complesso, questi carer non avessero diritti o riconoscimenti specifici e ricevessero scarso o nessun sostegno, ad eccezione di Lussemburgo, Regno Unito e Svezia, che all'epoca disponevano di una legislazione più avanzata in materia. A seconda del paese, il termine "carer" non esiste e, quando esiste, viene usato in modo intercambiabile con "naturale", "informale" o "di fatto" – termini carichi di significato, che si riferiscono alla natura ovvia e naturale dell'aiuto prestato da madri, coniugi o figli che svolgono solo il loro dovere!

Sulla base di questi risultati, abbiamo istituito un gruppo di lavoro per redigere una Carta dei diritti fondamentali dei "caregiver familiari" e abbiamo deciso di stilare un elenco di richieste e raccomandazioni da sottoporre agli enti pubblici nazionali ed europei. Abbiamo iniziato concordando su una definizione "europea" della persona che abbiamo scelto di chiamare "caregiver familiare", poiché in quasi il 98% dei casi proviene dalla famiglia. Il gruppo di lavoro ha soppesato ogni parola, ogni frase, ogni idea, che è stata elaborata e rielaborata fino a quando, al di là di politiche, culture, lingue, pratiche e linee associative, tutti hanno concordato con i termini utilizzati e li hanno fatti propri per una definizione del caregiver familiare e l'applicazione di un certo numero di principi.

Pubblicata nel 2007 e aggiornata nel 2024, la “ Carta europea per i familiari che prestano assistenza ” è stata elaborata come strumento di riferimento da attuare da parte di diverse organizzazioni che rappresentano le persone con disabilità, gli anziani e/o le persone con bisogni complessi e le loro famiglie nell’Unione Europea, nonché dalle istituzioni dell’UE. La Carta è in linea con la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (UNCRPD) e altri importanti testi internazionali delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa, dell’Unione Europea e del Forum europeo sulla disabilità. Testi che riguardano direttamente la vita, la dignità, i diritti, l’uguaglianza, la non discriminazione, l’accesso ai servizi e la piena cittadinanza delle persone con disabilità, delle loro famiglie e di chi si prende cura di loro. Il legame tra la CRPD e la Carta è ancora più forte da quando il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha emesso un'importante decisione sui diritti dei caregiver familiari nell'ottobre 2022. In questa storica decisione, il Comitato ha specificamente osservato che gli Stati firmatari della Convenzione hanno il dovere di fornire servizi di supporto adeguati ai caregiver familiari, in modo che possano a loro volta aiutare i propri familiari a vivere in modo indipendente nella comunità.

  • La Carta contribuisce ad aumentare la visibilità dei caregiver, nominandoli e definendoli in modo che sappiamo esattamente di chi stiamo parlando. Rende i caregiver una realtà al di fuori della sfera privata, pubblicizzando il ruolo prezioso svolto da questi attori economici.
  • La Carta stabilisce diritti precisi che corrispondono alle esigenze di chi presta assistenza e può quindi essere utilizzata dalle autorità pubbliche nel loro dovere di solidarietà e rispetto dei diritti fondamentali di chi presta assistenza e di chi viene assistito.
  • La Carta aiuta i caregiver a prendere consapevolezza del ruolo speciale che hanno assunto, perché sentirsi caregiver, o accettare di esserlo, è ancora un processo difficile per molti caregiver, che non esercitano i propri diritti. Riconoscere di essere caregiver può consentire di esprimere i propri bisogni e la scelta se aiutare o meno, o se dare un piccolo aiuto. Permette loro di dire "Non sono l'unico ad affrontare questa situazione, ho il diritto di essere stanco, di chiedere aiuto, di volere modifiche al mio orario di lavoro, di avere un po' di tregua, ecc.".

La Carta sostiene testi e posizioni esistenti e si propone come strumento di riferimento per l'advocacy internazionale, europea e nazionale. Se COFACE Disability ha scelto di aggiornarla, è per evidenziare la persistenza e la crescente incidenza di situazioni di estrema vulnerabilità per molte famiglie, e in particolare per le donne e i giovani caregiver. La nostra ambizione iniziale era quella di promuovere e sviluppare una reale attenzione politica ai bisogni dei caregiver e, sebbene siano stati compiuti progressi significativi, c'è ancora molto da fare, soprattutto nell'attuale difficile contesto di invecchiamento demografico e insufficiente disponibilità di servizi di assistenza.

Uno studio COFACE del 2017, "Who cares: Study of the challenges and needs of family carers in Europe", mostra che i caregiver sono ancora una forza lavoro invisibile e rappresentano uno dei gruppi meno ascoltati. Anche l'ultimo parere del Comitato economico e sociale europeo, del luglio 2024, invita la Commissione a considerare i caregiver informali una priorità assoluta nella strategia per l'assistenza a lungo termine.

[1] [ Fonte: Stato globale dell'assistenza, International Alliance of Carer Organizations, giugno 2021]

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Ulteriori risorse

Carta europea per i caregiver familiari | COFACE Families Europe  (2024)
Carta della disabilità COFACE in versione di facile lettura  (2024)
Parere del Comitato economico e sociale europeo sui caregiver   (2024)
Risultati principali: i caregiver familiari in Europa oggi | Tavola rotonda COFACE  (2024)
Chi si prende cura? Studio sulle sfide e le esigenze dei caregiver familiari in Europa | COFACE Families Europe (2017)

 

Informazioni sull'autore: Chantal Bruno è psicosociologa e formatrice presso l'Istituto di Lavoro Sociale dell'Aquitania (Talence) e presso l'APF France Handicap. È stata infermiera in missioni umanitarie in Libano e Afghanistan nel 1983 e nel 1984 per Aide médicale internationale. Rappresenta l'APF in qualità di presidente di COFACE Disability (Europa) e del Collectif inter-associatif de l'aide aux aidants familiaux (CIAAF).

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venerdì 25 aprile 2025

Nessuno si salva da solo

 

"A parlare con grande commozione, ieri, è stato il fratello di Claudia Santunione, Franco. “Sono ancora qui a chiedermi il perchè, a cercare di capire come possa essere successa una cosa del genere. Non ha mai dato segni di impazienza; era un padre molto attivo nel gestire la famiglia anche perchè era tutto in mano a lui – ha dichiarato. Mia sorella aveva già da due o tre anni un inizio di demenza e lui gestiva tutto, il figlio e la moglie. Non hanno mai esternato problemi: erano persone molto riservate, tenevano tutto dentro ma non hanno mai dato segni di impazienza, di sconforto. Sapevamo che la famiglia gestiva da 50 anni un figlio autistico, capivamo e conoscevamo le difficoltà che affrontavano ogni giorno ma non si erano mai lamentati – ha spiegato asciugandosi le lacrime. Me lo hanno comunicato intorno alle 10.30 ieri mattina; è stata mia cognata a chiamarmi. Avevo sentito mia sorella domenica, le ho fatto gli auguri di Pasqua ma a volte capiva, a volte no. Ero andato a trovarli la settimana prima di Pasqua ma non li ho mai visti alterati dallo sforzo che avevano – ha sottolineato. Sembrava tutto normale, come al solito. Quando due o tre anni fa mia sorella si è ammalata il perno era diventato Gian Carlo: si occupava di tutte le faccende domestiche e del figlio che accompagnava ogni giorno in un centro, dove Stefano faceva alcuni lavoretti. Sono sempre stati uniti, erano insieme da oltre 50 anni e non ho mai sentito ‘alterazioni’ a causa di un figlio in quelle condizioni – ha spiegato. Uno non pensa che possa accadere una cosa così: è il peso di un uomo che non ha più retto quello che ha portato a questa tragedia, di una persona autonoma che mai ha chiesto aiuto. I suoi familiari hanno sempre cercato di essere utili ma lui l’aiuto non lo ha mai cercato, mai voluto....”."

Questo è un brano dell'articolo pubblicato su Il Resto del Carlino.

Ci sono anche  le testimonianze di vicini di casa e di residenti, di questo piccolo paese in provincia di Modena, in cui  si è consumato l'ennesimo omicidio-suicidio, messo in atto da un caregiver familiare. Uomo di 83 anni soffoca moglie di 78 e figlio di 48 e poi si impicca.

Quello che dovrebbe stupire tutti noi, leggendo quanto raccontano parenti e conoscenti, è la cultura vigente, per cui una famiglia in difficoltà (come potrebbe essere quella in cui c'è un figlio con grave disabilità cui poi si aggiunge la disabilità di uno dei genitori) non suscita la solidarietà: guai a farsi avanti per dare una mano, se non ci sono richieste significa che la famiglia non ne ha bisogno. Anzi. 'E normale che ci si arrangi, non sia mai che tu vicino di casa vada a chiedere se serve qualcosa o vada a passare un po' di tempo insieme a queste persone.

Stupisce poi che questo tipo di indifferenza/freddezza/distanziamento sia in un paesino dove tutti si conoscono.

Il tutto fa molto pensare, in generale: come possiamo avere dei servizi sociali che davvero soddisfino i bisogni di noi caregiver familiari se proprio la cultura di base è questa?

L'altro pensiero è che se i caregiver familiari non hanno avuto accesso al tavolo presso il ministero della disabilità e alle audizioni alla Camera, la legge sul riconoscimento del caregiver familiare non può uscire bene, ma uscirà a favore delle categorie economiche/politiche cui è stata data voce, sancendo così, ancora una volta, l'invisibilita di noi caregiver familiari e dei nostri bisogni.

In Italia non è concepita l'assistenza familiare al proprio domicilio e quindi il progetto che si dovrebbe elaborare intorno alle persone, sfruttando le varie e buone leggi a disposizione: se sei malato/non autosufficiente per te c'è la struttura e fine.

Abbiamo letto tutti la decisione dell'attore Colin Farrell di mettere il proprio figlio in struttura, definita come scelta "coraggiosa". Molti di noi si sono davvero stupiti - se avessimo i soldi di questo attore hollywoodiano sicuramente ci inventeremmo un progetto ad hoc, tenendo con noi nostro figlio e assicurandogli un dignitoso "dopo di noi". Invece, le persone che non sperimentano la nostra realtà, hanno plaudito alla scelta di Farrell, qualcuno ha anche detto che le strutture, in Usa, non sono "mica come qua in Italia".

In barba al processo di deistituzionalizzazione in atto, che è regolamentato pure da leggi europee.

Infine: sto finendo di leggere lo speciale di Vita che si intitola "La solitudine dei caregiver familiari": nonostante la bella infografica, che dice che una alta percentuale lascia il lavoro per fare il caregiver familiare e quindi non ha più reddito e quindi diventa povero, tutto lo speciale parla di famiglie agiate, addirittura di influencer caregiver (!), intervista sempre gli stessi addetti ai lavori, che magari non sono nemmeno caregiver familiari e presenta come soluzioni virtuosi progetti avviati in una manciata di Comuni, a petto di un'Italia carente, divisa in regioni, ognuna con un proprio ordinamento, per cui poi in ogni Provicia si fa ciascuno a proprio modo e così nei Comuni. 

Non esiste una visione d'insieme sul tema, non esiste una percezione corretta di cosa sia davvero il fenomeno del caregiver familiare e leggere che la legge nazionale che dovrà uscire è solo il punto di partenza (!) ci ha sconfortato assai.

Infine, lo ripetiamo: gli omicidi suicidi dei caregiver familiari non sono femminicidi nè tragedie della solitudine, è un fenomeno preciso che andrebbe studiato e monitorato, ma nemmeno i criminologi, in Italia, se ne vogliono occupare.

Un ultimo pensiero: che cosa avrà passato il signor Gian Carlo Salsi, da quando gli era stato diagnosticato l'Alzheimer? Pianificare la morte di moglie e figlio e il proprio suicidio non deve essere stata una passeggiata. Nel mentre nessuno ha colto nessun segnale. A parte che era dimagrito tantissimo. In foto tre candele accese, come le tre vite che se ne sono andate, in questa società egoista.




 


mercoledì 19 marzo 2025

San Bernardino (New Mexico) come Montericco ( Veneto).

Molto clamore e sbigottimento ha suscitato l'episodio dell'anziana coppia veronese le cui salme, ormai mummificate, sono state ritrovate casualmente.

In molti hanno subito collegato questo episodio con quanto accaduto alla copia Hackman-Arakawa in America.

Là, sui giornali, è stato subito un fiorire di articoli sul tema dei caregiver familiari e l'assenza di una rete di assistenza, qui da noi non si è andati oltre al dato di fatto della solitudine della nostra anziana coppia.

Nessuno, comunque, ha dedicato qualche riflessione al tema del "burden" cioè al peso che grava su ogni familiare che assiste un proprio caro malato o non autosufficiente (come chi è affetto da una di quelle patologie che dissolvono le capacità cognitive o le facoltà motorie o entrambe).

Abbiamo, in letteratura, una variegata casistica che porta il caregiver ad uccidere l'assistito e poi a suicidarsi, ma in Italia, questa letteratura e questo approccio, non sono manco contemplati.

Poi ci sono quei casi in cui il caregiver, colto da malore muore e l'assistito, impossibilitato a muoversi o a capire quello che sta succedendo, è condannato a morire di stenti dopo pochi giorni. E se queste persone vivono sole, come spesso accade, non è raro che siano ritrovate mesi dopo il decesso.   

Siamo un popolo che invecchia senza avere ricambi, poichè la natalità è ormai sottozero e quindi ogni anno cresce il numero di persone che rimangono sole, con le patologie tipiche dell'età ed irrimediabilmente progessive ed ingravescenti, che richiedono assistenza ad hoc.

Qualche passetto in avanti nelle politiche per la terza età è stato fatto con l'approvazione della legge 33/2023 cosidetta legge delega per gli anziani -  ahinoi carente anche nei decreti attuativi e quindi ancora lontana dal garantire una gestione efficente del problema.

Stanziare 60 milioni di euro (dal fondo PNRR), come ha annunciato entusiaticamente l'assessore veneta Lanzarin, per aiutare i caregiver degli anziani, benchè atto degno di lode non è una soluzione, ma solo una toppa su un buco troppo grande, cui nessuno ha mai pensato di far intervenire qualcuno del mestiere che rammedasse a dovere, rinforzando anche la stoffa. 

Dai comunicati si apprende che verranno erogati, a poco più di 12mila caregiver 200 euro mensili. Se pensiamo che il bonus caregiver familiare, erogato dallo Stato al Veneto (bonus che comprendeva tutte le tipologie di caregiver e non solo quelli di anziani) ammontava a  400 euro mensili per un totale di 2,5 milioni di euro per una platea di 700 beneficiari (in tutta la Regione Veneto) qualche domanda dovremmo iniziare a farcela. Soprattuto perchè la platea dei caregiver familiari ammonta a 500mila persone in Veneto, stando alle stime della CISL. Pensiamo a ogni regione d'Italia, se finalmente si facessero i conti e le conte di fondi stanziati e platea di beneficiari!

Basta poi guardare gli articoli recenti sulla crisi, in Veneto come nel resto del Paese, delle RSA e di tutto il comparto: non esistono abbanstanza posti, le rette sono stellari e pure il personale latita. per tacere di tutti gli episodi di maltrattamenti ed abusi che si consumano in queste strutture.

Non esiste nemmeno una nuova cultura di settore per cui si scavalchi l'ormai obsoleta soluzione di avere "ricoveri per anziani" e si creino le famose reti di servizi, al domicilio della persona, finalmente valorizzando e sostenendo il ruolo e il lavoro dei caregiver familiari o dei semplici caregiver (figure queste professionali e retribuite) laddove i familiari non ci sono. 

Una soluzione potrebbe essere la legge regionale, che ora ha iniziato i primi passi dell'iter in consiglio regionale del Veneto: ma i testi presentati sono tre e non è stata interpellata nessuna associazione sul territorio, mentre il PD, depositario di uno dei tre progetti, inspiegabilmente si fa aiutare da una associazione dell'Emilia Romagna.

Manca la legge a livello nazionale e pare che si sia davvero molto lontani, non dico dalla fine ma persino dalla partenza - chi scrive segue i lavori in parlamento e da quando si è insidiato questo Governo, nel 2022, nulla è stato fatto se non produzione di ben 12 testi di legge e svariate audizioni di chiunque, tranne che, paradossalmente,  dei diretti interessati e cioè i caregiver familiari.

Se manca la legge a livello nazionale è difficile,  a quello regionale, licenziarne una buona, soprattutto una che davvero sia utile ai caregiver familiari senza gravarli di ulteriori oneri burocratici o dotarli di servizi tanto inutili quanto fumosi e, in ultima istanza, insesistenti.

L'augurio è che un evento così tragico come quello della coppia di Montericco dia l'abbrivio per una riflessione corale e un'azione concreta da parte dell'amministrazione politica, a ogni livello,  per comporre una questione mai affrontata davvero e cioè la gestione della popolazione anziana e non autosufficiente e relativi familiari, ove presenti. 

In foto :  Maria Teresa Nizzola e Marco Steffenoni - Betzy Arakawa e Gene Hackman.

lunedì 3 marzo 2025

Unica, sola, convivente, prevalente: il nulla cosmico.



Martedì 25 febbraio 2025 alle h. 13.00 si è tenuta un'audizione, in XII commissione alla Camera, per la legge sul riconoscimento del Caregiver Familiare, dopo mesi di stop dei lavori.

A parlare e a riferire era la ministro Alessandra Locatelli su quanto fatto dal tavolo interministeriale da lei istituito, con decreto il 26 ottobre 2023.

Fissatevi la data: 26 ottobre 2023.

Il tavolo si è insediato a gennaio 2024 e in questa prima riunione si sono presentati i membri e fine.

Poi più nulla.

Nonostante le nostre e-mail, sui lavori di questo tavolo non si è mai saputo nulla, neanche mezza riga per sbaglio sul sito del ministero. Tralasciamo che, senza una valida motivazione, basata su coordinate normative, noi che siamo CAREGIVER FAMILIARI, con il curriculum di attivisti che possiamo vantare in materia, non siamo stati ammessi  al tavolo interministeriale per il riconoscimento della figura del CAREGIVER FAMILIARE. Verrebbe da ridere, se non fossero cose serie.

Stanchi di non avere mai risposta, abbiamo mandato una PEC con la richiesta di accesso agli atti tramite FOIA, chiedendo di vedere i verbali delle riunioni e conoscere il contenuto del documento di sintesi dato che il tavolo aveva durata semestrale, quindi avrebbe dovuto finire i lavori a luglio 2024. Mai avuto risposta nemmeno a questo.

Poi, di punto in bianco, dopo tanti mesi,  la settimana scorsa ci segnalano che ci sarà questa audizione.

E quando ci colleghiamo per vedere in diretta, ci cascano le braccia.

Dopo 16 mesi di tavolo non esiste nessun documento scritto che riporti la sintesi dei lavori, ma la ministro dice in diretta che il tavolo si è riunito 21 volte! In 21 riunioni non sono arrivati a nessun risultato.

La ministro dice anche che ci sono dei nodi da sciogliere e che si deve confrontare con il ministero del lavoro, che restituirà la bozza corretta che poi andrà rivista e bla bla bla.

Un momento: ma se il tavolo era interministeriale, cioè comprendeva anche membri  del Ministero del Lavoro (è scritto nel decreto istitutivo), perchè la bozza di quello che la ministro Locatelli dice essere stata prodotta deve essere girata al Ministero del Lavoro? 

Ascoltando la verbosa restituzione fatta da Alessandra Locatelli si deduce che : ancora, dopo 16 mesi di presunto lavoro, con il tavolo non sono arrivati a capire chi siano i caregiver familiari italiani, quanti siano, quali interventi di sostegno servano.

Un sacco di chiacchiere e considerazioni peregrine a giustificare il nulla fatto finora.

Ancora più sconcertanti sono le domande/interventi dei membri della commissione. 

Per primo interviene il relatore di minoranza, Marco Furfaro, del PD, che dice una cosa allucinante sui caregiver non conviventi - lo ridiciamo per l'ennesima volta ( e l'abbiamo detto anche in videocall a questo parlamentare): non esistono i caregiver familiari non conviventi, parlarne è come accoltellare i caregiver familiari. 

Per secondo parla Luciano Ciocchetti relatore di maggioranza, di FDI,  per dire, sostanzialmente, che è contento di avere, a febbraio 2025, la ministra in commissione - e prima? Nessun coordinamento con il Ministero della Disabilità?

Poi è la volta di Paolo Ciani, segretario di Democrazia Solidale, che articola ampiamente il suo intervento in cui si capisce poco che cosa voglia chiedere o osservare, dato che mette insieme un sacco di temi.

Poi si presenta Erik Umberto Pretto, appena 31enne,  della Lega, che dice di essere una new entry in commissione - che quindi nulla sa di quanto fatto finora. Andiamo a vedere la sua bio e scopriamo che, finora, si è sempre occupato di tutto tranne che di caregiver familiare o qualcosa anche vagamente attinente.

Conclude Andrea Quartini dei 5Stelle, che sappiamo essere un medico, che fa un intervento molto ampio che suscita pure l'ilarità della platea e a noi rimane impressa solo l'espressione "LEA occulto".

Verdi, Forza Italia e altri esponenti di altri partiti non pervenuti. Come pure nessun parlamentare donna.

L'unica cosa certa è che la ministra non è in grado di dare nessuna tempistica e affiora la data 2027. Altri due anni, in cui tutte queste persone produrranno cosa e per chi? In cui, magari, verranno depositati altri  progetti di legge oltre ai già 12 esistenti!

Se siamo a questo punto, cioè che se ancora non c'è nulla di chiaro e deciso è perchè al tavolo ( o alle audizioni) non si sono seduti i caregiver familiari che, di certo, non avrebbero nessuna incertezza nel definire la platea dei beneficiari, o nell'indivuiduare i bisogni e quindi offrire le giuste tutele. E se qualcuno di noi c'era, in mezzo a tutte quelle associazioni, enti, fondazioni, corporazioni etc non ha assolutamente reso nessun servizio alla categoria.

Manca del tutto la concezione di che cosa sia un caregiver familiare (alla faccia del comma 255!) e  quale tipo di vita sfiancante subisca, per cui sarebbero da abolire tutti gli inutili discorsi che fanno solo perdere tempo - siamo allo stesso punto del 2022, quando son iniziati i lavori in Commissione, ci rendiamo conto? Soprattutto non viene considerata la tipologia di caregiver familiare più fragile ed indifeso, che andrebbe messa al primo posto: tutti quelli che hanno rinunciato al lavoro perchè il carico assistenziale impone l'h24 e quindi non hanno reddito. E che magari sono l'unico altro componente il nucleo familiare.

Intanto che questi signori parlano, là fuori i caregiver continuano a stare peggio, senza fondi e continua la triste sequela di morti : a Prato il figlio dell'unica, sola, prevalente, convivente caregiver familiare la uccide con 50 coltellate, la guarda morire e poi tenta di darle fuoco. A Riva del Garda una donna uccide la madre 91enne, di cui era unica, sola, prevalente e convivente caregiver familiare, la veglia e poi chiama la polizia.

Ma questo a parte a noi Genitori Tosti, non interessa a nessuno. 

Per chi avesse 60 minuti e la voglia di ascoltare qui c'è la registrazione dell'audizione. 

In foto il vuoto di Bootes, la più grande regione di universo finora individuata, di nulla cosmico.

giovedì 13 febbraio 2025

Se l'America è la più grande potenza mondiale e Giambattista Vico non era un cretino.

Abbiamo tutti appreso della nuova, ennesima,  boutade del neo presidente USA, lo scorso 30 gennaio.

Riportiamo una parte del comunicato stampa ripreso dal sito web Dreft:

"Washington D.C.

 In risposta, l'American Association of People with Disabilities, l'American Council of the Blind, l'Autistic Self Advocacy Network, il Disability Rights Education and Defense Fund, la United Spinal Association, la National Federation of the Blind e altre importanti organizzazioni per i diritti delle persone disabili hanno rilasciato la seguente dichiarazione:

Le dichiarazioni del Presidente di oggi, che suggeriscono che il mortale incidente del volo 5342 potrebbe essere stato colpa di dipendenti pubblici con disabilità, sono irresponsabili, denigratorie e sbagliate. È estremamente inappropriato che il Presidente usi questa tragedia come un'opportunità per promuovere il suo programma di assunzioni anti-diversità. L'attenzione del governo federale e dell'intera nazione dovrebbe essere rivolta alla risposta di emergenza, a un'indagine approfondita e, soprattutto, al sostegno alle famiglie e alle comunità che hanno perso i propri cari in questa tragedia.

Le persone con disabilità servono con orgoglio la nostra nazione attraverso il servizio governativo in ogni dipartimento e agenzia federale. I dipendenti disabili, come i dipendenti non disabili, vengono assunti perché soddisfano le qualifiche necessarie per svolgere il lavoro. La Federal Aviation Administration ha standard rigorosi per l'assunzione di controllori del traffico aereo e di tutti gli altri dipendenti della FAA. Le iniziative di assunzione basate sulla diversità cercano di ampliare il bacino di potenziali talenti qualificati per un ruolo, non sostituiscono le qualifiche e le competenze richieste dal ruolo. L'implicazione che le persone vengano assunte per svolgere un lavoro per il quale non sono qualificate è una bugia infondata che rafforza ulteriormente gli stereotipi dannosi contro le persone disabili.

"Il Presidente sta deliberatamente diffondendo falsità per demonizzare un quarto degli adulti americani che vivono con disabilità, anziché destinare risorse federali per garantire che una tragedia così devastante non accada mai più. Ciò fa parte di un più ampio attacco coordinato ai diritti civili e alle pari opportunità in tutto il governo. Questi attacchi non fanno nulla per mantenere gli americani al sicuro e in realtà minacciano la nostra capacità di garantire la sicurezza creando la forza lavoro aeronautica più forte possibile", ha affermato Maria Town, Presidente e CEO dell'American Association of People with Disabilities .

Scott Thornhill, direttore esecutivo dell'American Council of the Blind, ha dichiarato: "Il tragico incidente avvenuto la scorsa notte nei pressi dell'aeroporto nazionale Reagan di Washington è qualcosa che ci rattrista profondamente. Questo non è il momento per atteggiamenti politici o speculazioni. I nostri pensieri e le nostre preghiere sono con le famiglie di coloro che hanno perso la vita in modo devastante. Denunciamo fermamente qualsiasi insinuazione che l'assunzione di persone con disabilità abbia avuto una qualche parte in questo evento orribile".

"Uno dei principali fattori che tiene le persone con disabilità fuori dal mondo del lavoro è lo stigma infondato sulla nostra capacità di svolgere il nostro lavoro. Nonostante i numerosi dati che mostrano la capacità e la produttività dei lavoratori disabili, rivelare una disabilità rende comunque i candidati al lavoro il 26% meno propensi a ottenere un colloquio preliminare. Programmi come quello attaccato dal Presidente Trump hanno fatto parte del lavoro del governo federale per eliminare tale stigma. È profondamente deludente vedere il nostro governo ora decidere invece di peggiorare la situazione", ha affermato Colin Killick, Direttore esecutivo di Autistic Self Advocacy Network .

"Le dannose speculazioni del Presidente prendono di mira ingiustamente i lavoratori disabili e rafforzano pericolosi e infondati stereotipi", ha aggiunto Nicole Bohn, Direttore esecutivo del Disability Rights Education and Defense Fund . "La disabilità non è una responsabilità e queste narrazioni servono solo ad alimentare discriminazione, esclusione e stigma, in particolare per i lavoratori BIPOC disabili che già affrontano barriere complesse nell'occupazione. In questo momento, l'attenzione deve essere rivolta al supporto delle famiglie e delle comunità colpite da questa tragedia e alla garanzia di un'indagine basata sui fatti, non a fare capri espiatori di persone disabili che appartengono a ogni posto di lavoro, compresi l'aviazione e la sicurezza pubblica".

"La causa del terribile incidente aereo avvenuto ieri sera al DCA rimane sconosciuta", ha affermato Marlene Sallo, Direttore esecutivo del National Disability Rights Network . "Ora è il momento di indagare a fondo sulle cause di questo incidente e di supportare le famiglie che hanno perso i propri cari. Non è il momento di incolpare o stigmatizzare ulteriormente le persone con disabilità".

Mark Riccobono, Presidente della National Federation of the Blind , ha dichiarato: "I ciechi americani condividono il lutto della nostra nazione per le vite perse nel tragico incidente di ieri sera. Siamo scioccati dal fatto che il Presidente degli Stati Uniti abbia rafforzato idee sbagliate infondate sulla disabilità codificandole nell'ordine esecutivo Keeping Americans Safe in Aviation. Sappiamo che le persone con disabilità sono tra le migliori e le più intelligenti. Sappiamo anche che la nostra attenzione oggi e nei giorni a venire dovrebbe essere sulle vite perse, non sull'incomprensione delle vite delle persone con disabilità".

La National Organization of Nurses with Disabilities (NOND) ha affermato: "NOND è fortemente e radicalmente in disaccordo con l'affermazione fatta dall'amministrazione federale secondo cui le persone con disabilità creano condizioni non sicure per gli altri. L'affermazione del governo è spaventosa, disumanizzante e palesemente discriminatoria. NOND supporta la DEI che è fondamentale per promuovere la piena inclusione delle popolazioni emarginate, comprese le persone con disabilità. La ricerca indica che con l'età aumenta l'incidenza della disabilità e delle condizioni di salute croniche. La disabilità non riguarda coloro che sono disabili ora; riguarda la nostra società in generale".

"Incolpare le persone con disabilità per l'incidente mortale al DCA è fuorviante e profondamente fuorviante. Le persone con disabilità vengono assunte secondo standard già rigorosi a causa di pregiudizi esistenti e quando otteniamo un impiego è perché abbiamo chiaramente dimostrato la nostra capacità di svolgere il lavoro con eccellenza", afferma il presidente e CEO della United Spinal Association Vincenzo Piscopo . "Come persona con disabilità, posso dire senza esitazione di aver contribuito con orgoglio e costanza a dare valore in ogni ruolo che ho ricoperto. Sostenere il contrario non solo è infondato, ma mina anche i contributi di milioni di professionisti disabili che eccellono nei loro campi ogni giorno".

Associazione americana delle persone con disabilità

Consiglio americano dei ciechi

Rete di autodifesa autistica

Rete di donne autistiche e non binarie

Centro Bazelon per la legge sulla salute mentale

Fondo per l'istruzione e la difesa dei diritti delle persone con disabilità

Coalizione nazionale per il recupero della salute mentale

Rete nazionale per i diritti delle persone con disabilità

Federazione nazionale dei ciechi

Organizzazione nazionale degli infermieri con disabilità

Non ancora morto

United Spinal Association

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Da noi, in Italia, l'unico che abbia fatto un comunicato in merito, di condanna è Vincenzo Falabella della Fish.

A cercare con Google esce fuori anche un commento del presidente di Legacoop.

E poi?

Fa un rumore disturbante il silenzio della nostra ministro per la disabilità, Alessandra Locatelli.


 

lunedì 10 febbraio 2025

Quattro chiacchiere con... Sara Bellingeri



Giornalista, si  occupa di diritti, inclusione, lavoro, disabilità, ambiente e sanità. 'E anche responsabile ufficio stampa e copywriter. Dal 2022 si occupa di consulenza e di progettazione di percorsi formativi legati ai diritti e all’inclusione. Mamma di due fanciulli, attivista (intransigente) sul tema dei diritti da ormai vent’anni, è anche una caregiver familiare.

L'abbiamo intervistata perchè ha  tenuto il primo corso nazionale dedicato ai caregiver familiari. 

Ci racconti chi è e che cosa fa un diversity e disability manager?

Per prima cosa grazie mille per avermi coinvolta in questa intervista e per l’opportunità di parlare di temi importanti: stavolta passo dalla parte dell’intervistata. Intanto premetto che ci   può   essere   la   figura   del/della   diversity   manager   (che   spesso   è   la   più   gettonata), del/della disability manager (negli anni Ottanta già esisteva in America, Canada e Nord Europa, in Italia invece ancora oggi è troppo poco diffusa, con tutti gli effetti negativi del caso) o del/della diversity e disability manager. Ragionando sull’ultimo connubio, questa figura  si  occupa  di facilitare,  promuovere  e  valorizzazione  l’inclusione,  prevenendo  al contempo le discriminazioni e progettando percorsi formativi e di integrazione lavorativa. Queste   figure   possono   gestire   anche   la   fase   di   selezione   oltre   che   di   inserimento lavorativo. Focalizzandomi in particolare sulla figura del disability manager, essa si occupa dell’intero processo dell’integrazione socio-lavorativa della persona con disabilità, inclusi i cosiddetti accomodamenti ragionevoli che sono fondamentali per permettere di godere ed esercitare i diritti su base di uguaglianza con gli altri come esplicitato in uno dei punti cardine della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Queste figure possono lavorare per gli enti pubblici (anzi, gli enti pubblici con più di 200 dipendenti dovrebbero esserne dotati secondo normativa!), aziende, associazioni, scuole, università, etc.

Per ottenere questa qualifica bisogna fare un master universitario, giusto? 

Tornando alla premessa di prima, la maggior parte della formazione si focalizza su un percorso o su un altro, ossia diversity o disability, in alcuni casi su entrambi ma per esperienza noto che non sempre tutti e due i fronti sono affrontati in maniera accurata. In giro ci sono diversi corsi di formazione e purtroppo non mancano proposte che si rivelano specchietti per le allodole: in cambio di una cifra corposa e con la promessa di chiedere poche ore di presenza alle lezioni e studio (cosa appetibile per molti) promettono traguardi di scarso valore. Per i/le disability manager ci sono regioni che hanno stabilito i crismi ossia i requisiti per essere definiti tali e in genere i master universitari sono indicati come il livello più alto. Nel mio caso erano previste 1.500 ore di attività didattica tra lezioni, project work ed esami specifici su ogni modulo affrontato. Occorreva passare tutti gli esami per poter accedere alla discussione finale del lavoro di tesi.Tornando al discorso generale dei master universitari va detto però che ciò che si chiama master non garantisce a priori e in automatico la qualità in toto. A mio avviso ci sono dei master o dei moduli affrontati in essi che andrebbero strutturati meglio e affrontando in maniera più concreta e accurata temi che sono magari solo sorvolati. Inoltre sarebbe bene coinvolgere   maggiormente   nella   formazione   figure   che   lavorino già  come  disability manager. Spesso si punta invece e paradossalmente su chi fa un altro lavoro: poi il rischio è di risultare poco coerenti e anche distanti dal focus tematico cardine. Inoltre andrebbe garantito un maggior collegamento con il mondo del lavoro trattandosi di una figura con una mansione molto concreta e importante. Va infine detto che purtroppo in alcune realtà lavorative, inclusi gli enti pubblici, si nominano come disability manager persone che già lavorano in quel determinato ente o in quella determinata azienda ma che non hanno alcuna   formazione   o   preparazione   al   riguardo.   È   una   dinamica   che   non   rispetta   la normativa e men che meno gli obiettivi di questa importante figura. Questo è squallido e anche fuori deontologia con ripercussioni su più livelli vista la situazione lacunosa a livello di inclusione lavorativa delle persone con disabilità e non solo. Porto un esempio dove purtroppo la realtà supera la fantasia. Per la mia esperienza ho conosciuto infatti persone con disabilità e assistenti sociali che lavoravano in enti pubblici e che agivano senza alcuna   remora   discriminazioni   basate   sulla   disabilità   sanzionabili   secondo   la   legge 67/2006. Non erano disability manager ma avevano comunque un ruolo e un’esperienza diretta della condizione che come minimo avrebbero dovuto implicare la conoscenza dei diritti e il dovere a tutelarli. Questo per dire che nemmeno il ruolo o la condizione danno garanzia!

Consiglieresti questo percorso ai giovani e perché? 

Focalizzandomi sul ruolo del/della disability manager consiglierei questa formazione a chiunque,   indipendentemente   dall’età,   desideri   approfondire   il   tema   dell’inclusione lavorativa ma in generale dell’inclusione delle persone con disabilità oltre che della prevenzione dalle diverse forme di discriminazione che possono avvenire in diversi contesti che comprendono non solo quello lavorativo ma anche formativo, scolastico, culturale, sanitario, etc. Le discriminazioni spesso scaturiscono da stereotipi, pregiudizi e lacune e proliferano in contesti in cui scarseggiano o mancano del tutto percorsi formativi   volti   a   favorire   la   consapevolezza   su   questi   argomenti   e   la   messa   in discussione dei propri stereotipi. Poi in maniera specifica ovviamente si tratta di una formazione propedeutica a chi vuole avviarsi verso la professione vera e propria di disability manager. Spero in ogni caso che la formazione in quest’ambito migliori e che vengano   accolti   gli   spunti   e   le   proposte   di   miglioramento   esplicitate   da   chi   ha frequentati i percorsi.

Come mai hai scelto di tenere un corso per caregiver familiari?

Come avete posto in luce voi in maniera chiara e incisiva nel vostro libro “L’esercito silenzioso - I caregiver familiari italiani”, che ho menzionato più volte e preso anche come riferimento prezioso per la mia tesi di master, l’attenzione è per lo più posta solo sulla persona con disabilità in un’ottica, aggiungo io, tra l’altro assistenzialistica o di inclusione errata o stereotipata, come se l’inclusione fosse una gentile concessione da parte di un gruppo che pensa di poter decidere e accettare chi fa parte del gioco o meno quando non è così. L’inclusione è invece un processo che si costruisce insieme e che non si esaurisce mai e di questo processo fanno parte i e le caregiver familiari che hanno un ruolo cardine e che va valorizzato. Per farlo occorre rendere consapevoli di ciò gli stessi caregiver dando l’opportunità di essere informati e formati sui loro diritti e sulle leggi, tra gli obiettivi del   mio   corso.   Spesso   infatti   i   e   le   caregiver   familiari   subiscono   essi   stessi   diverse discriminazioni,   sia   di   tipo   diretto   o   indiretto,   in   vari   ambiti   come   quello   lavorativo, formativo,   sociale,   culturale   con   pesanti   ricadute   negative   a   livello   occupazionale, economico, relazionale, della disparità di genere (le donne caregiver sono le più colpite) e non da ultimo della salute. La stessa sindrome del burden del caregiver è a torto vista come l’esito ineluttabile dell’essere caregiver, come se avere un familiare con disabilità dovesse comportare fisiologicamente il non poter più riposare, il rinunciare a curarsi e allo svago, l’abbandonare il proprio lavoro e fare quello di altre figure, che sono tra l’altro pagate al posto del caregiver… questo è sbagliatissimo! Il burden del caregiver non è l’esito della disabilità (che non è mai una colpa) ma il risultato di un sistema che non adempie ai suoi doveri e abbandona la persona con disabilità e il suo caregiver costretto così a sfiorare  il  dono   dell’ubiquità   per   fare tutto ciò che  serve   per   sostenere   il suo familiare perdendo anche la salute perché è un essere umano, con dei limiti e bisogni sacrosanti. Al contrario di quello che veicolano alcuni stereotipi, pur amando si ha bisogno anche di mantenersi, fare visite mediche, riposare, etc. Insomma, i caregiver non vivono d’aria e d’amore come pensano alcuni, ancora troppi. Conosco madri che si sono dovute trasformare in logopediste, fisioterapiste, educatrici, insegnanti di sostegno, infermiere, oltre   ad   occuparsi   di   pulizie,   trasporti,   burocrazia,   etc.   senza   avere   il   minimo riconoscimento per il loro impegno soverchiante. Con il corso che ho realizzato ho voluto quindi scardinare questi stereotipi, purtroppo spesso traghettati anche da soggetti che si definiscono esperti del settore ma che evidentemente non lo sono e nemmeno conoscono il tema caregiving. C’è chi usa questi temi come fonte ulteriore di business a danno di chi con queste problematiche ci convive ogni giorno e senza sconti.

Com'è andata?

Il   corso,   intitolato   “Caregiver   familiari:   il   diritto   all’inclusione”,   è   stato   concretizzato   a maggio  2024   a   Castiglione   delle   Stiviere,   in   provincia   di  Mantova,   e   ha   avuto   ottimi riscontri, sia in termini di partecipazione numerica, con oltre 50 partecipanti che hanno sforato   il   numero   previsto   di   iscritti,   sia   per   il   coinvolgimento   dimostrato   dai   e   dalle partecipanti a livello di attenzione, ragionamento e confronto. Con diversi di essi sono ancora in  contatto,   mi   chiedono informazione su alcuni  temi   e   mi fa molto piacere  il riscontro di stima ottenuto. Devo sottolineare che non sarebbe stato possibile realizzare questo percorso   senza   la preziosa   sinergia  e  il   concreto  contributo  della   cooperativa sociale “Fiordaliso” alla quale avevo fatto la proposta mesi prima avendola individuata come   una   realtà   seria   e   responsabile   (requisiti   per   me   fondamentali   per   collaborare professionalmente). La cooperativa ha messo a disposizione non solo una sede luminosa e   funzionale,   ma   ha   anche   coperto   interamente   le   spese   del   percorso   formativo garantendo, come avevo caldeggiato e sperato, la totale partecipazione gratuita a tutti i caregiver iscritti che così non hanno dovuto sostenere alcuna spesa. Il presidente Luca Cimarosti e il resto dello staff presente durante gli incontri da me gestiti hanno dimostrato grande accoglienza oltre a una reale consapevolezza rispetto alle necessità che hanno i genitori   e   i   caregiver   in   generale.   Gli   incontri   sono   stati   infatti   strutturati   secondo   le esigenze delle diverse fasce d’età coinvolte. Per i caregiver delle persone con disabilità adulte   gli   incontri   si   sono   tenuti   durante   i   giorni   in   cui   i   servizi   erano   già   attivi   per quest’ultime. Il sabato mattina era invece il giorno degli incontri dedicati ai e alle caregiver familiari di bambini e preadolescenti con disabilità, quindi minorenni. In questo caso la cooperativa metteva a disposizione delle figure educative che coinvolgessero i bambini e i ragazzi  mentre   i   genitori   erano   impegnati   a   seguire   il  corso   così   da   permettere   loro un’ottimale conciliazione   con la formazione  e il non  doversi  sovraccaricare di ulteriori organizzazioni. Ci tengo a dire che il servizio era totalmente gratuito così come il percorso. 

Pensi di tenerne un altro, magari online?

Sì, da quello che ho riscontrato c’è molta voglia di approfondire il tema e sempre secondo questo approccio che da un lato scardina gli stereotipi stessi sul caregiving e che dall’altro punta a parlare di diritti e a mettere in luce le storture del sistema cercando al contempo di affrontarle facendo riferimento ad elementi normativi e pratici. La gente è stanca di corsi fuffa che oltre a rinfocolare pericolosi stereotipi servono più a lustrare la vetrina di chi li tiene anziché offrire un’occasione di conoscenza e approfondimento vera. Inutile dire ai caregiver come rilassarsi se il sistema li mette in condizioni di non riuscirci proprio… una dinamica scorretta con cui si fa i conti e non certo per scelta!

Cosa diresti alle mamme caregiver?

Prima con il mio lavoro di giornalista che ho iniziato nel 2005 poi come disability manager mi sono confrontata con tantissime storie in carne e ossa che resteranno sempre con me. Non nascondo che alcune mi hanno anche tolto ore di sonno perché certe vicende sono un pugno nello stomaco: crea infatti molta rabbia sapere che avvengono dinamiche così tossiche e disoneste. Mi sono confrontata con storie di tenacia, voglia di farcela e infinita bellezza ma anche fatte di fatica, rabbia e abuso che coinvolgono vicende di mobbing, discriminazione e anche violenza psicologica subita da alcune donne caregiver nei luoghi di lavoro e in contesti familiari. Sono proprio queste storie, la voce e gli occhi di chi me le ha raccontate, a convincermi che non potevo limitarmi a raccontare e a denunciare queste vicende, pur nell’importanza che detiene il lavoro giornalistico serio, ma che dovevo anche impegnarmi a creare occasioni attive di formazione e di sensibilizzazione. Quindi a loro dico   il   grande   grazie   per   la   fiducia   riposta   in   me   e   per   aver   consentito   una sensibilizzazione. In generale alle madri caregiver ma anche ai padri e a tutti i caregiver familiari vorrei dire di tenere alzate sempre le antenne sui loro diritti e di non demordere nel pretendere il rispetto di questi anche se non è sicuramente facile. La difesa di un diritto ha infatti un effetto domino su tutto il resto. Colgo l’occasione, in merito al tema delle donne caregiver, di esplicitare una questione che ho già sollevato anche sui social. Tempo   fa   ho   proposto   a   una   realtà   attiva   sul   tema   della   violenza   di  genere   ed empowerment delle donne dei percorsi di formazione riguardanti il caregiving. Risposta: le aziende non sono interessate. Mi sono cadute le braccia perché la risposta è stata data da aziende che si professano paladine di certi temi che evidentemente è bello sbandierare ma poi quando si entra nella pratica risultano scomodi e scansabili. Perché se un’azienda parla di tutto ciò e intanto mobbizza una lavoratrice caregiver (con familiare con disabilità grave) per via ad esempio dei permessi 104 qualcosa non va proprio. Mi spiace infatti che il tema donne caregiver sia spesso messo all’angolo proprio da chi l’argomento donne e diritti lo sbandiera ogni giorno di facciata. Su questo dovremmo interrogarci seriamente per andare oltre le coccarde e le vetrine puntando alla sostanza e a ciò che serve.