giovedì 13 febbraio 2025

Se l'America è la più grande potenza mondiale e Giambattista Vico non era un cretino.

Abbiamo tutti appreso della nuova, ennesima,  boutade del neo presidente USA, lo scorso 30 gennaio.

Riportiamo una parte del comunicato stampa ripreso dal sito web Dreft:

"Washington D.C.

 In risposta, l'American Association of People with Disabilities, l'American Council of the Blind, l'Autistic Self Advocacy Network, il Disability Rights Education and Defense Fund, la United Spinal Association, la National Federation of the Blind e altre importanti organizzazioni per i diritti delle persone disabili hanno rilasciato la seguente dichiarazione:

Le dichiarazioni del Presidente di oggi, che suggeriscono che il mortale incidente del volo 5342 potrebbe essere stato colpa di dipendenti pubblici con disabilità, sono irresponsabili, denigratorie e sbagliate. È estremamente inappropriato che il Presidente usi questa tragedia come un'opportunità per promuovere il suo programma di assunzioni anti-diversità. L'attenzione del governo federale e dell'intera nazione dovrebbe essere rivolta alla risposta di emergenza, a un'indagine approfondita e, soprattutto, al sostegno alle famiglie e alle comunità che hanno perso i propri cari in questa tragedia.

Le persone con disabilità servono con orgoglio la nostra nazione attraverso il servizio governativo in ogni dipartimento e agenzia federale. I dipendenti disabili, come i dipendenti non disabili, vengono assunti perché soddisfano le qualifiche necessarie per svolgere il lavoro. La Federal Aviation Administration ha standard rigorosi per l'assunzione di controllori del traffico aereo e di tutti gli altri dipendenti della FAA. Le iniziative di assunzione basate sulla diversità cercano di ampliare il bacino di potenziali talenti qualificati per un ruolo, non sostituiscono le qualifiche e le competenze richieste dal ruolo. L'implicazione che le persone vengano assunte per svolgere un lavoro per il quale non sono qualificate è una bugia infondata che rafforza ulteriormente gli stereotipi dannosi contro le persone disabili.

"Il Presidente sta deliberatamente diffondendo falsità per demonizzare un quarto degli adulti americani che vivono con disabilità, anziché destinare risorse federali per garantire che una tragedia così devastante non accada mai più. Ciò fa parte di un più ampio attacco coordinato ai diritti civili e alle pari opportunità in tutto il governo. Questi attacchi non fanno nulla per mantenere gli americani al sicuro e in realtà minacciano la nostra capacità di garantire la sicurezza creando la forza lavoro aeronautica più forte possibile", ha affermato Maria Town, Presidente e CEO dell'American Association of People with Disabilities .

Scott Thornhill, direttore esecutivo dell'American Council of the Blind, ha dichiarato: "Il tragico incidente avvenuto la scorsa notte nei pressi dell'aeroporto nazionale Reagan di Washington è qualcosa che ci rattrista profondamente. Questo non è il momento per atteggiamenti politici o speculazioni. I nostri pensieri e le nostre preghiere sono con le famiglie di coloro che hanno perso la vita in modo devastante. Denunciamo fermamente qualsiasi insinuazione che l'assunzione di persone con disabilità abbia avuto una qualche parte in questo evento orribile".

"Uno dei principali fattori che tiene le persone con disabilità fuori dal mondo del lavoro è lo stigma infondato sulla nostra capacità di svolgere il nostro lavoro. Nonostante i numerosi dati che mostrano la capacità e la produttività dei lavoratori disabili, rivelare una disabilità rende comunque i candidati al lavoro il 26% meno propensi a ottenere un colloquio preliminare. Programmi come quello attaccato dal Presidente Trump hanno fatto parte del lavoro del governo federale per eliminare tale stigma. È profondamente deludente vedere il nostro governo ora decidere invece di peggiorare la situazione", ha affermato Colin Killick, Direttore esecutivo di Autistic Self Advocacy Network .

"Le dannose speculazioni del Presidente prendono di mira ingiustamente i lavoratori disabili e rafforzano pericolosi e infondati stereotipi", ha aggiunto Nicole Bohn, Direttore esecutivo del Disability Rights Education and Defense Fund . "La disabilità non è una responsabilità e queste narrazioni servono solo ad alimentare discriminazione, esclusione e stigma, in particolare per i lavoratori BIPOC disabili che già affrontano barriere complesse nell'occupazione. In questo momento, l'attenzione deve essere rivolta al supporto delle famiglie e delle comunità colpite da questa tragedia e alla garanzia di un'indagine basata sui fatti, non a fare capri espiatori di persone disabili che appartengono a ogni posto di lavoro, compresi l'aviazione e la sicurezza pubblica".

"La causa del terribile incidente aereo avvenuto ieri sera al DCA rimane sconosciuta", ha affermato Marlene Sallo, Direttore esecutivo del National Disability Rights Network . "Ora è il momento di indagare a fondo sulle cause di questo incidente e di supportare le famiglie che hanno perso i propri cari. Non è il momento di incolpare o stigmatizzare ulteriormente le persone con disabilità".

Mark Riccobono, Presidente della National Federation of the Blind , ha dichiarato: "I ciechi americani condividono il lutto della nostra nazione per le vite perse nel tragico incidente di ieri sera. Siamo scioccati dal fatto che il Presidente degli Stati Uniti abbia rafforzato idee sbagliate infondate sulla disabilità codificandole nell'ordine esecutivo Keeping Americans Safe in Aviation. Sappiamo che le persone con disabilità sono tra le migliori e le più intelligenti. Sappiamo anche che la nostra attenzione oggi e nei giorni a venire dovrebbe essere sulle vite perse, non sull'incomprensione delle vite delle persone con disabilità".

La National Organization of Nurses with Disabilities (NOND) ha affermato: "NOND è fortemente e radicalmente in disaccordo con l'affermazione fatta dall'amministrazione federale secondo cui le persone con disabilità creano condizioni non sicure per gli altri. L'affermazione del governo è spaventosa, disumanizzante e palesemente discriminatoria. NOND supporta la DEI che è fondamentale per promuovere la piena inclusione delle popolazioni emarginate, comprese le persone con disabilità. La ricerca indica che con l'età aumenta l'incidenza della disabilità e delle condizioni di salute croniche. La disabilità non riguarda coloro che sono disabili ora; riguarda la nostra società in generale".

"Incolpare le persone con disabilità per l'incidente mortale al DCA è fuorviante e profondamente fuorviante. Le persone con disabilità vengono assunte secondo standard già rigorosi a causa di pregiudizi esistenti e quando otteniamo un impiego è perché abbiamo chiaramente dimostrato la nostra capacità di svolgere il lavoro con eccellenza", afferma il presidente e CEO della United Spinal Association Vincenzo Piscopo . "Come persona con disabilità, posso dire senza esitazione di aver contribuito con orgoglio e costanza a dare valore in ogni ruolo che ho ricoperto. Sostenere il contrario non solo è infondato, ma mina anche i contributi di milioni di professionisti disabili che eccellono nei loro campi ogni giorno".

Associazione americana delle persone con disabilità

Consiglio americano dei ciechi

Rete di autodifesa autistica

Rete di donne autistiche e non binarie

Centro Bazelon per la legge sulla salute mentale

Fondo per l'istruzione e la difesa dei diritti delle persone con disabilità

Coalizione nazionale per il recupero della salute mentale

Rete nazionale per i diritti delle persone con disabilità

Federazione nazionale dei ciechi

Organizzazione nazionale degli infermieri con disabilità

Non ancora morto

United Spinal Association

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Da noi, in Italia, l'unico che abbia fatto un comunicato in merito, di condanna è Vincenzo Falabella della Fish.

A cercare con Google esce fuori anche un commento del presidente di Legacoop.

E poi?

Fa un rumore disturbante il silenzio della nostra ministro per la disabilità, Alessandra Locatelli.


 

lunedì 10 febbraio 2025

Quattro chiacchiere con... Sara Bellingeri



Giornalista, si  occupa di diritti, inclusione, lavoro, disabilità, ambiente e sanità. 'E anche responsabile ufficio stampa e copywriter. Dal 2022 si occupa di consulenza e di progettazione di percorsi formativi legati ai diritti e all’inclusione. Mamma di due fanciulli, attivista (intransigente) sul tema dei diritti da ormai vent’anni, è anche una caregiver familiare.

L'abbiamo intervistata perchè ha  tenuto il primo corso nazionale dedicato ai caregiver familiari. 

Ci racconti chi è e che cosa fa un diversity e disability manager?

Per prima cosa grazie mille per avermi coinvolta in questa intervista e per l’opportunità di parlare di temi importanti: stavolta passo dalla parte dell’intervistata. Intanto premetto che ci   può   essere   la   figura   del/della   diversity   manager   (che   spesso   è   la   più   gettonata), del/della disability manager (negli anni Ottanta già esisteva in America, Canada e Nord Europa, in Italia invece ancora oggi è troppo poco diffusa, con tutti gli effetti negativi del caso) o del/della diversity e disability manager. Ragionando sull’ultimo connubio, questa figura  si  occupa  di facilitare,  promuovere  e  valorizzazione  l’inclusione,  prevenendo  al contempo le discriminazioni e progettando percorsi formativi e di integrazione lavorativa. Queste   figure   possono   gestire   anche   la   fase   di   selezione   oltre   che   di   inserimento lavorativo. Focalizzandomi in particolare sulla figura del disability manager, essa si occupa dell’intero processo dell’integrazione socio-lavorativa della persona con disabilità, inclusi i cosiddetti accomodamenti ragionevoli che sono fondamentali per permettere di godere ed esercitare i diritti su base di uguaglianza con gli altri come esplicitato in uno dei punti cardine della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Queste figure possono lavorare per gli enti pubblici (anzi, gli enti pubblici con più di 200 dipendenti dovrebbero esserne dotati secondo normativa!), aziende, associazioni, scuole, università, etc.

Per ottenere questa qualifica bisogna fare un master universitario, giusto? 

Tornando alla premessa di prima, la maggior parte della formazione si focalizza su un percorso o su un altro, ossia diversity o disability, in alcuni casi su entrambi ma per esperienza noto che non sempre tutti e due i fronti sono affrontati in maniera accurata. In giro ci sono diversi corsi di formazione e purtroppo non mancano proposte che si rivelano specchietti per le allodole: in cambio di una cifra corposa e con la promessa di chiedere poche ore di presenza alle lezioni e studio (cosa appetibile per molti) promettono traguardi di scarso valore. Per i/le disability manager ci sono regioni che hanno stabilito i crismi ossia i requisiti per essere definiti tali e in genere i master universitari sono indicati come il livello più alto. Nel mio caso erano previste 1.500 ore di attività didattica tra lezioni, project work ed esami specifici su ogni modulo affrontato. Occorreva passare tutti gli esami per poter accedere alla discussione finale del lavoro di tesi.Tornando al discorso generale dei master universitari va detto però che ciò che si chiama master non garantisce a priori e in automatico la qualità in toto. A mio avviso ci sono dei master o dei moduli affrontati in essi che andrebbero strutturati meglio e affrontando in maniera più concreta e accurata temi che sono magari solo sorvolati. Inoltre sarebbe bene coinvolgere   maggiormente   nella   formazione   figure   che   lavorino già  come  disability manager. Spesso si punta invece e paradossalmente su chi fa un altro lavoro: poi il rischio è di risultare poco coerenti e anche distanti dal focus tematico cardine. Inoltre andrebbe garantito un maggior collegamento con il mondo del lavoro trattandosi di una figura con una mansione molto concreta e importante. Va infine detto che purtroppo in alcune realtà lavorative, inclusi gli enti pubblici, si nominano come disability manager persone che già lavorano in quel determinato ente o in quella determinata azienda ma che non hanno alcuna   formazione   o   preparazione   al   riguardo.   È   una   dinamica   che   non   rispetta   la normativa e men che meno gli obiettivi di questa importante figura. Questo è squallido e anche fuori deontologia con ripercussioni su più livelli vista la situazione lacunosa a livello di inclusione lavorativa delle persone con disabilità e non solo. Porto un esempio dove purtroppo la realtà supera la fantasia. Per la mia esperienza ho conosciuto infatti persone con disabilità e assistenti sociali che lavoravano in enti pubblici e che agivano senza alcuna   remora   discriminazioni   basate   sulla   disabilità   sanzionabili   secondo   la   legge 67/2006. Non erano disability manager ma avevano comunque un ruolo e un’esperienza diretta della condizione che come minimo avrebbero dovuto implicare la conoscenza dei diritti e il dovere a tutelarli. Questo per dire che nemmeno il ruolo o la condizione danno garanzia!

Consiglieresti questo percorso ai giovani e perché? 

Focalizzandomi sul ruolo del/della disability manager consiglierei questa formazione a chiunque,   indipendentemente   dall’età,   desideri   approfondire   il   tema   dell’inclusione lavorativa ma in generale dell’inclusione delle persone con disabilità oltre che della prevenzione dalle diverse forme di discriminazione che possono avvenire in diversi contesti che comprendono non solo quello lavorativo ma anche formativo, scolastico, culturale, sanitario, etc. Le discriminazioni spesso scaturiscono da stereotipi, pregiudizi e lacune e proliferano in contesti in cui scarseggiano o mancano del tutto percorsi formativi   volti   a   favorire   la   consapevolezza   su   questi   argomenti   e   la   messa   in discussione dei propri stereotipi. Poi in maniera specifica ovviamente si tratta di una formazione propedeutica a chi vuole avviarsi verso la professione vera e propria di disability manager. Spero in ogni caso che la formazione in quest’ambito migliori e che vengano   accolti   gli   spunti   e   le   proposte   di   miglioramento   esplicitate   da   chi   ha frequentati i percorsi.

Come mai hai scelto di tenere un corso per caregiver familiari?

Come avete posto in luce voi in maniera chiara e incisiva nel vostro libro “L’esercito silenzioso - I caregiver familiari italiani”, che ho menzionato più volte e preso anche come riferimento prezioso per la mia tesi di master, l’attenzione è per lo più posta solo sulla persona con disabilità in un’ottica, aggiungo io, tra l’altro assistenzialistica o di inclusione errata o stereotipata, come se l’inclusione fosse una gentile concessione da parte di un gruppo che pensa di poter decidere e accettare chi fa parte del gioco o meno quando non è così. L’inclusione è invece un processo che si costruisce insieme e che non si esaurisce mai e di questo processo fanno parte i e le caregiver familiari che hanno un ruolo cardine e che va valorizzato. Per farlo occorre rendere consapevoli di ciò gli stessi caregiver dando l’opportunità di essere informati e formati sui loro diritti e sulle leggi, tra gli obiettivi del   mio   corso.   Spesso   infatti   i   e   le   caregiver   familiari   subiscono   essi   stessi   diverse discriminazioni,   sia   di   tipo   diretto   o   indiretto,   in   vari   ambiti   come   quello   lavorativo, formativo,   sociale,   culturale   con   pesanti   ricadute   negative   a   livello   occupazionale, economico, relazionale, della disparità di genere (le donne caregiver sono le più colpite) e non da ultimo della salute. La stessa sindrome del burden del caregiver è a torto vista come l’esito ineluttabile dell’essere caregiver, come se avere un familiare con disabilità dovesse comportare fisiologicamente il non poter più riposare, il rinunciare a curarsi e allo svago, l’abbandonare il proprio lavoro e fare quello di altre figure, che sono tra l’altro pagate al posto del caregiver… questo è sbagliatissimo! Il burden del caregiver non è l’esito della disabilità (che non è mai una colpa) ma il risultato di un sistema che non adempie ai suoi doveri e abbandona la persona con disabilità e il suo caregiver costretto così a sfiorare  il  dono   dell’ubiquità   per   fare tutto ciò che  serve   per   sostenere   il suo familiare perdendo anche la salute perché è un essere umano, con dei limiti e bisogni sacrosanti. Al contrario di quello che veicolano alcuni stereotipi, pur amando si ha bisogno anche di mantenersi, fare visite mediche, riposare, etc. Insomma, i caregiver non vivono d’aria e d’amore come pensano alcuni, ancora troppi. Conosco madri che si sono dovute trasformare in logopediste, fisioterapiste, educatrici, insegnanti di sostegno, infermiere, oltre   ad   occuparsi   di   pulizie,   trasporti,   burocrazia,   etc.   senza   avere   il   minimo riconoscimento per il loro impegno soverchiante. Con il corso che ho realizzato ho voluto quindi scardinare questi stereotipi, purtroppo spesso traghettati anche da soggetti che si definiscono esperti del settore ma che evidentemente non lo sono e nemmeno conoscono il tema caregiving. C’è chi usa questi temi come fonte ulteriore di business a danno di chi con queste problematiche ci convive ogni giorno e senza sconti.

Com'è andata?

Il   corso,   intitolato   “Caregiver   familiari:   il   diritto   all’inclusione”,   è   stato   concretizzato   a maggio  2024   a   Castiglione   delle   Stiviere,   in   provincia   di  Mantova,   e   ha   avuto   ottimi riscontri, sia in termini di partecipazione numerica, con oltre 50 partecipanti che hanno sforato   il   numero   previsto   di   iscritti,   sia   per   il   coinvolgimento   dimostrato   dai   e   dalle partecipanti a livello di attenzione, ragionamento e confronto. Con diversi di essi sono ancora in  contatto,   mi   chiedono informazione su alcuni  temi   e   mi fa molto piacere  il riscontro di stima ottenuto. Devo sottolineare che non sarebbe stato possibile realizzare questo percorso   senza   la preziosa   sinergia  e  il   concreto  contributo  della   cooperativa sociale “Fiordaliso” alla quale avevo fatto la proposta mesi prima avendola individuata come   una   realtà   seria   e   responsabile   (requisiti   per   me   fondamentali   per   collaborare professionalmente). La cooperativa ha messo a disposizione non solo una sede luminosa e   funzionale,   ma   ha   anche   coperto   interamente   le   spese   del   percorso   formativo garantendo, come avevo caldeggiato e sperato, la totale partecipazione gratuita a tutti i caregiver iscritti che così non hanno dovuto sostenere alcuna spesa. Il presidente Luca Cimarosti e il resto dello staff presente durante gli incontri da me gestiti hanno dimostrato grande accoglienza oltre a una reale consapevolezza rispetto alle necessità che hanno i genitori   e   i   caregiver   in   generale.   Gli   incontri   sono   stati   infatti   strutturati   secondo   le esigenze delle diverse fasce d’età coinvolte. Per i caregiver delle persone con disabilità adulte   gli   incontri   si   sono   tenuti   durante   i   giorni   in   cui   i   servizi   erano   già   attivi   per quest’ultime. Il sabato mattina era invece il giorno degli incontri dedicati ai e alle caregiver familiari di bambini e preadolescenti con disabilità, quindi minorenni. In questo caso la cooperativa metteva a disposizione delle figure educative che coinvolgessero i bambini e i ragazzi  mentre   i   genitori   erano   impegnati   a   seguire   il  corso   così   da   permettere   loro un’ottimale conciliazione   con la formazione  e il non  doversi  sovraccaricare di ulteriori organizzazioni. Ci tengo a dire che il servizio era totalmente gratuito così come il percorso. 

Pensi di tenerne un altro, magari online?

Sì, da quello che ho riscontrato c’è molta voglia di approfondire il tema e sempre secondo questo approccio che da un lato scardina gli stereotipi stessi sul caregiving e che dall’altro punta a parlare di diritti e a mettere in luce le storture del sistema cercando al contempo di affrontarle facendo riferimento ad elementi normativi e pratici. La gente è stanca di corsi fuffa che oltre a rinfocolare pericolosi stereotipi servono più a lustrare la vetrina di chi li tiene anziché offrire un’occasione di conoscenza e approfondimento vera. Inutile dire ai caregiver come rilassarsi se il sistema li mette in condizioni di non riuscirci proprio… una dinamica scorretta con cui si fa i conti e non certo per scelta!

Cosa diresti alle mamme caregiver?

Prima con il mio lavoro di giornalista che ho iniziato nel 2005 poi come disability manager mi sono confrontata con tantissime storie in carne e ossa che resteranno sempre con me. Non nascondo che alcune mi hanno anche tolto ore di sonno perché certe vicende sono un pugno nello stomaco: crea infatti molta rabbia sapere che avvengono dinamiche così tossiche e disoneste. Mi sono confrontata con storie di tenacia, voglia di farcela e infinita bellezza ma anche fatte di fatica, rabbia e abuso che coinvolgono vicende di mobbing, discriminazione e anche violenza psicologica subita da alcune donne caregiver nei luoghi di lavoro e in contesti familiari. Sono proprio queste storie, la voce e gli occhi di chi me le ha raccontate, a convincermi che non potevo limitarmi a raccontare e a denunciare queste vicende, pur nell’importanza che detiene il lavoro giornalistico serio, ma che dovevo anche impegnarmi a creare occasioni attive di formazione e di sensibilizzazione. Quindi a loro dico   il   grande   grazie   per   la   fiducia   riposta   in   me   e   per   aver   consentito   una sensibilizzazione. In generale alle madri caregiver ma anche ai padri e a tutti i caregiver familiari vorrei dire di tenere alzate sempre le antenne sui loro diritti e di non demordere nel pretendere il rispetto di questi anche se non è sicuramente facile. La difesa di un diritto ha infatti un effetto domino su tutto il resto. Colgo l’occasione, in merito al tema delle donne caregiver, di esplicitare una questione che ho già sollevato anche sui social. Tempo   fa   ho   proposto   a   una   realtà   attiva   sul   tema   della   violenza   di  genere   ed empowerment delle donne dei percorsi di formazione riguardanti il caregiving. Risposta: le aziende non sono interessate. Mi sono cadute le braccia perché la risposta è stata data da aziende che si professano paladine di certi temi che evidentemente è bello sbandierare ma poi quando si entra nella pratica risultano scomodi e scansabili. Perché se un’azienda parla di tutto ciò e intanto mobbizza una lavoratrice caregiver (con familiare con disabilità grave) per via ad esempio dei permessi 104 qualcosa non va proprio. Mi spiace infatti che il tema donne caregiver sia spesso messo all’angolo proprio da chi l’argomento donne e diritti lo sbandiera ogni giorno di facciata. Su questo dovremmo interrogarci seriamente per andare oltre le coccarde e le vetrine puntando alla sostanza e a ciò che serve.