Siamo un paese per cui se tu, donna, decidi di mettere su famiglia e quindi avere un figlio, in automatico devi lasciare il lavoro. Tutti conoscono quella pratica ignobile del foglio in bianco firmato quando le donne vengono assunte, eppure ancora molto poco si fa per rimediare a tutto questo. Per non parlare di quando se, sfidando tutto, decidi di ritornare al lavoro e ti trovi demansionata.
Non esiste una politica articolata a sostegno delle donne, in generale e, in particolare, nulla che le agevoli sul lavoro, parificando la loro situazione a quella maschile.
Siamo un Paese arretrato per cui vige la cultura della cura al femminile, cioè chi sacrifica la propria vita per prendersi cura degli altri componenti della famiglia è sempre la donna.
Il lavoro di cura può essere standard (cioè generare e poi allevare i figlio) oppure straordinario (cioè fare il caregiver h24) come lo svolgiamo noi genitori di figli con disabilità totalmente non autosufficienti. Oppure puoi essere il caregiver di un genitore anziano, un coniuge/fratello/sorella/compagno etc per motivi di patologie invalidanti sia temporaneamente che per sempre.
Non esistono ancora, nel nostro Paese, tutte quelle misure per cui se sei un caregiver, indipendentemente dalla patologia/condizione, puoi comunque svolgere questo ruolo compatibilmente con il tuo lavoro e la tua vita: significa che hai il tempo per fare tutto perchè il tuo Comune attraverso la tua Regione a sua volta sostenuta da legge statali, ha approntato un sistema di servizi, e a domicilio, per cui tu ti puoi allontanare da casa e andare al lavoro oppure impiegare il tuo tempo libero, o curarti a tua volta, o dormire.
Siamo agli albori di tutto un processo che, si spera, porterà il nostro Paese a un livello almeno basico e dignitoso di servizi alla persona e quindi al sostegno delle donne, finalmente, che non devono essere più il sesso debole ma, semplicemente, persone alla pari.
Qualcuno avrà sentito parlare del movimento "il giusto mezzo", oppure delle iniziative di più Europa o comunque vi sarete resi conto che da qualche anno è in atto una mobilitazione generale, trasversale e non necessariamente femminista ma pro donne, che vuole portare il nostro Paese in linea con quella cosa che si chiama parità di genere, appunto.
Ecco, stante la situazione attuale per cui le donne sono pagate, a parità di mansione, un terzo rispetto agli uomini, se fanno figli escono dal mercato del lavoro, sono poco rappresentate ai vertici e pochissimo in politica inoltre a livello culturale abbiamo ancora discutibili espressioni come "lavori da femmina e da maschio" oppure che certi giocattoli sono "da maschi" e certi "da femmine", cosa ne direste se succedesse qualcosa che invece prova ad aiutare le donne?
Pensiamo poi se a queste donne, che fanno finalmente il figlio, nasce un neonato con pluri-disabilità e di grado grave.
Purtroppo (non conosco la statistica e nemmeno se qualcuno mai si è preoccupato di studiare e quantificare il fenomeno) però, sono tantissime le madri abbandonate fin da subito dal proprio marito/compagno se il nascituro è con disabilità - così come molti sono i bambini con disabilità abbandonati alla nascita da entrambi i genitori.
Metteteci poi che se la donna decide, da sola, di proseguire e occuparsi del bambino non avrà sostegni di nessun tipo, a partire proprio dall'ospedale, dove dovrebbe essere di protocollo che interviene l'assistente sociale che affianca la mamma e l'aiuta nel percorso sanitario e sociale.
(Spesso succede che la pratica per l'accertamento dell'invalidità sia fatta anche anni dopo la nascita).
E quando ti trovi, neo mamma, con una bambino con disabilità hai bisogno di tante cose, tanti saperi e tanti soldi, appunto.
Dovrebbe funzionare che lo Stato, attraverso il suo sistema sanitario pubblico, si occupa di ogni terapia possibile per questo bambino: la realtà è che, se sei fortunata, ottieni due sedute da 45 minuti a settimana altrimenti sei messa in lista d'attesa. Le terapie o la serie di interventi "abilitanti" vanno continuati a casa e ti servirebbe del personale che ti aiuta invece la realtà è che la mamma diventa fisioterapista, logopedista, infermiera, docente, intrattenitrice insomma: se la mamma possiede anche competenze di base si arrangia e si fa in quattro pur di dare quello che il sistema sanitario nega - grazie allo smantellamento che certe parti politiche hanno effettuato nella perversa direzione della sanità privata a pagamento.
Tutti sanno quale sia il calvario che caratterizza la vita di un bambino con disabilità e la sua mamma se rimane sola, inutile che facciamo finta che non sia così.
E da dieci mesi a questa parte, a causa dell'emergenza data dal Covid 19, le situazioni sono pesantemente peggiorate!
Bene: nella legge di bilancio da poco approvata qualcuno ha pensato a queste donne, sole, che si occupano di un/a figlio/a con disabilità.
Ci ha pensato stanziando una cifra mensile, per tre anni, cioè fino al dicembre 2023.
Non so se avete una minima idea delle condizioni in cui si sono trovati a lavorare in parlamento a questa legge di bilancio: presentata in ritardo, suppongo sempre a causa di questa pandemia, hanno dovuto lavorarci giorno e notte per evitare che si sforasse il termine e quindi si andasse all'esercizio provvisorio.
Quindi, ripeto, qualcuno ha pensato, con il tempo contro e le risorse a disposizione - ricordiamo che sono stati tagliati 40 milioni per l'assistenza domiciliare ai malati cronici oppure 5 milioni per lo screening neonatale allargato - di riuscire a dare un assegno mensile per tre anni alla categoria "donne sole con figlio con disabilità".
In un Paese come il nostro, retrogrado, sessista, con episodi di colore come il decreto Pillon o il congresso della famiglia di Verona o i recenti vergognosi poster contro la pillola contraccettiva, con un numero di femminicidi sempre troppo alto e il babau dei tagli ai centri antiviolenza, ebbene nel 2021 qualcuno, là nel palazzo del potere, pensa alle mamme! In un Paese in cui c'è la denatalità spinta, poi.
Da standing ovation!
E invece no.
Nessuno, e a sorpresa proprio dal mondo della disabilità, dove dovrebbe esserci solidarietà e comprensione e un grado magari superiore della visione delle cose e delle persone, si è risparmiato critiche, anche impietose e cattivissime.
Leggere il titolo "Come ti illudo una caregiver single" penso sia la quintessenza della meschinità, del tipo che ho, purtroppo, subito in questi anni di mio attivismo come genitore di persona con disabilità.
Sapere che dietro quel titolo ci sono caregiver donne, le stesse che magari qualche mese fa si prodigavano per raccogliere firme affinchè il presidente del consiglio acconsentisse a stanziare 5 milioni di bonus covid per i caregiver, per due mesi (!), aggiunge pure del ridicolo a questa faccenda. Oltre a dare la misura del grado di abbruttimento in cui queste persone versano, che si può capire ma fa male constatare ed è la spia del disagio in cui queste persone si trovano, senza avere aiuto.
Come scrivevo oggi ad una amica (che è anche una grande donna) finchè gli interlocutori del Governo sono pochi e non assolutamente rappresentativi e nemmeno facenti parte della categoria e magari di un ceto troppo abbiente per avere dei bisogni reali, i nostri politici, quelli che "fanno" materialmente le leggi, non hanno gli strumenti giusti per realizzare gli interventi necessari.
Devono essere i e le caregiver in prima persona a dialogare con il Governo/suoi esponenti e non figure terze, magari nemmeno lontanamente parenti di qualcuno con disabilità.
Un pensiero a tutte le mamme, sole, che si trovano a gestire un/a figlio/a con disabilità.
Un grazie a chi ha pensato a loro e ci ha fatto un articolo della legge di bilancio.
Rilanciamo il nostro report sui caregiver italiani, sarebbe da leggere.
E pure il volantino della campagna che ormai ha raggiunto 30.000 persone. magari siamo in dieci a crederci e a batterci ma questo è.
Buon 2021
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