mercoledì 4 settembre 2013

Quanto basta per fare il giro del mondo al buio - con affetto e tostaggine a tutti i GT

 
Settembre, il mese cruciale dell'anno perché riprende la scuola.
Sempre a parlare di scuola, può rimproverarci qualcuno. La scuola è il settore che, in quanto Associazione di Promozione Sociale, assorbe gran parte delle nostre energie, non solo perché molti di noi hanno i figli in età scolare, ma perché l'abbrivio per l'integrazione/inclusione delle persone con disabilità, nel nostro Paese inizia proprio dalla scuola, il primo luogo della vita socializzante per eccellenza.
Si costruisce da lì, non si può prescindere. 
Ci occupiamo anche di altro, di tutto ciò che arriva tramite le richieste fatte dai genitori alla segreteria dell'associazione . 
Rimando ad un prossimo post i racconti, le novità e gli annunci delle attività che abbiamo messo in campo per il nuovo anno, adesso voglio esprimere un augurio a tutti coloro che nella tostaggine hanno sempre creduto, anche quando era tutto contro o le singole situazioni (famigliari, di lavoro, di salute) hanno dato parecchio filo da torcere, e lo faccio riportando un articolo molto bello, apparso ieri su La Stampa . 
Buon settembre :) 
 
Il bastone bianco e l'iPhone giro del mondo di un non vedente NOGARA. Zaino in spalla, bastone bianco in una mano, iPhone nell'altra e, come navigatore, le indicazioni delle persone incrociate per caso: ecco quanto basta per fare il giro del mondo al buio. E' la sfida di Alessandro Bordini, 28 anni di Nogara (Verona), da quattro anni non vedente a causa di una manovra sbagliata con il paracadute e di un atterraggio troppo violento.

Il 2 aprile è partito da Malpensa per Parigi, perdendo il primo aereo per la troppa fila al check. Poi si è spostato in Spagna e da lì ha raggiunto Tangeri, da dove attraversare l'Africa. In queste ore si trova al Cairo, in Egitto. «Gli africani sono straordinari - racconta -. Non riesco a fare 20 passi senza che qualcuno mi prenda sotto braccio o mi chieda se ho bisogno. Oggi stavo camminando per strada e a un certo punto mi sono sentito stringere una mano: era una bambina di 8-9 anni che mi ha riportato sul marciapiede, suggerendomi la strada migliore».

L'incidente stravolge, com'è ovvio, la vita di Alessandro: due mesi di coma, una lunga riabilitazione fisica e la vista che non torna, nonostante l'iniziale ottimismo dei medici. «La forte botta ha causato l'atrofizzazione del nervo ottico, ma i motivi non sono chiari. La presa di coscienza che sarei rimasto cieco è quindi stata graduale e diluita nel tempo e non mi ha fatto scivolare nella disperazione: in quelle settimane ho capito che comunque la mia esistenza poteva essere vissuta in modo degno e felice». E pure il ricordo del paracadute non ha lasciato indelebili traumi emotivi. «Mi sono già lanciato un paio di volte in tandem, ma non è la stessa cosa: è come per un pilota di Formula 1 farsi accompagnare in giro in taxi».

Nel febbraio del 2010 Alessandro si iscrive ad un corso di 100 ore sull'utilizzo delle facoltà del cervello, tenuto da Michelle J. Noel, un' energica francese convinta che per vedere non ci sia bisogno degli occhi. «Grazie a lei la mia vita è cambiata - spiega -. Ho imparato a gestire il mio quotidiano, ad acquisire autonomia, a scoprire come la mia volontà potesse influire sulla realtà esterna: ho provato sulla mia pelle come il cervello possa essere utilizzato per il bene degli altri e, quindi, per il proprio bene». Il giovane veronese, accompagnato dagli amici e utilizzando il servizio per non vedenti di Trenitalia, ricomincia così a muoversi su e giù per l'Italia. E la svolta arriva nella stazione di Cesena. «E' successo due anni fa - ricorda -. Per una serie di sfortunate coincidenze mi sono ritrovato sui binari da solo, senza informazioni e senza nessuna persona fidata a cui appoggiarmi. In quel momento si è avvicinato un uomo e mi ha chiesto se poteva aiutarmi. Ecco, lì ho capito che potevo muovermi senza pianificare nulla e senza dover avere un'assistenza dedicata. Mi bastava la gente che avevo intorno: se potevo farlo a Cesena, perché non potevo farlo in tutto il mondo?». Nasce così l'idea di «Light the planet», illumina il mondo, un tour globale per dimostrare che ci sono persone buone ovunque e che la solidarietà è garanzia di indipendenza e mobilità.

Prima di partire Alessandro frequenta un corso con istruttori qualificati per addestrarsi all'utilizzo del bastone bianco al chiuso e all'aperto. E poi si affida all'iPhone, che grazie al software integrato per non vedenti gli permette di aprire un blog, accedere a Internet, essere perennemente connesso con i social network, girare video e scattare foto. «Beh, sulle foto non posso garantire il risultato: mi affido all'istinto. Con i video è più divertente e grazie all'audio possono anche riconoscerli e catalogarli». Dopo un piccolo viaggio di prova da Verona a Berlino, passando da Vienna, Praga e Cracovia, per sperimentare il muoversi in solitudine all'estero, Alessandro è quindi partito, cinque mesi fa, per il suo itinerario che lo porterà a toccare oltre 100 nazioni. «Già la prima notte, arrivato nella capitale francese fuori tempo massimo per la coincidenza, mi sono trovato senza un posto dove dormire. Il taxista dopo un pellegrinaggio tra ostelli e hotel, ha scelto di spegnere il tassametro e un ragazzo incontrato per caso ha deciso di ospitarmi a casa sua: era il segno che avrei avuto incontri bellissimi». Incontri testimoniati nel blog http://www.lightheplanet.net, aggiornato quotidianamente con immagini e racconti.

«Ho scelto di partire per l'Africa perché è un continente difficile: i mezzi di trasporto sono spesso vecchi e mal funzionanti e le città non sono a misura di disabile. Per non parlare della burocrazia ai valichi di confine: ma ogni volta c'è qualcuno che mi dà una mano per superare l'ostacolo». E il coraggio di Alessandro esce straripante dalle sue mini clip, mentre si butta con il bungee jumping sul Lago Vittoria, mostra una foto realizzata in sella a un cammello o chiacchiera con gli abitanti dei territori attraversati. «Ogni incontro è qualcosa che mi arricchisce e queste persone viaggiano con me. Per ora la frase più bella me l'hanno detta salutandomi alla dogana liberiana, quando ho spiegato alla polizia il messaggio di pace e armonia che cerco di diffondere: "Grazie per essere passato anche dalla Liberia".

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