Uniti ma divisi, un ossimoro che pare essere in voga come non mai in quest’ultimo periodo.
Che la storia del nostro Paese sia percorsa da moti che da un lato perseguono lo scopo di unirlo e dall'altro creano malcontenti che dividono, non è certo una novità. A chi non vive in prima persona l’esperienza della disabilità sembrerà un paradosso: questa condizione dovrebbe avvicinare tra loro i familiari delle persone disabili. Invece essere uniti ma divisi è ormai una consuetudine anche in questa realtà. E questo nonostante l’Italia sia un esempio invidiato ben oltre l’Europa per il panorama normativo vigente.
Una condizione che le famiglie di figli con disabilità conoscono bene, potendo constatare l’enorme iato tra normativa pubblica e triste realtà quotidiana, scandita dallo stillicidio di grandi e piccoli ostacoli che nessuna norma da sola potrà mai eliminare senza il naturale senso civico, senza l’educazione e la cultura di ogni cittadino di questo Paese. Qualità, queste ultime, sempre più rare in Italia, dalle quali discende l’imprescindibilità delle leggi a difesa dei diritti dei propri figli. Una società che non ne vuol sapere di considerare la disabilità come una condizione di normale vivere in comunità, conduce necessariamente a dover ergere la normativa a baluardo difensivo di diritti che, lo ripetiamo, si è portati a pensare essere una realtà consolidata. Quale stupore invece nel constatare il contrario quando si valutano numericamente ricorsi, esposti e denunce dei genitori!
Lo abbiamo già scritto e detto più volte: le nostre famiglie offrono a chiunque lo desideri una dimostrazione pratica di quanto sopra. Ma l’adesione a passare qualche ora nelle nostre famiglie è un dato “non pervenuto”...
In sostanza, non è sufficiente avere ottime leggi, se al momento di applicarle il ruolo di controllore è latente. Qui, come in altri ambiti della società, l’Italia è allergica ad essere controllata. La soluzione di comodo comunemente adottata dallo Stato per risolvere la questione è... modificare la legge, dando in questo modo una parvenza di novità e di lavoro illuminato. Gli esempi, innumerevoli, chiedeteli alle nostre famiglie. L’unica conseguenza: il caos aumenta.
L’esperienza.
La disabilità obbliga genitori e figli a vivere più frequentemente di quel che si pensi le realtà più disparate di ospedali, centri di terapia, scuole, medici, terapisti, insegnanti, assistenti, ecc. Crediamo che a questa eccezionale formazione sul campo compiuta ventiquattrore su ventiquattro tutti i giorni, debba essere riconosciuta con maggior rispetto.
La voce dei genitori di figli con disabilità è portatrice di esperienze che nessuna istituzione, nessun funzionario potrà mai avere se non con un percorso di vita analogo. Le famiglie con figli con disabilità in età scolare vivono orari intersecati tra la scuola e le terapie che per la maggior parte dei casi avvengono più volte alla settimana insieme a riunioni con specialisti e terapisti e al costante supporto nei momenti di studio dei figli. La situazione, in altre parole, vede frequentemente un genitore lasciare l’attività lavorativa per compiere un lungo percorso di vita in stretta relazione con il figlio. Intendiamoci: non esiste nulla di più appagante che poter assaporare ogni tipo di crescita e conquista dei figli; se solo ci fosse una maggior presenza di civiltà, di spirito di comunità, dando meno peso (il giusto) al valore individuale, faremmo tutti un gran passo avanti. Crediamo non sia necessario evidenziare le conseguenti rinunce che tale impegno impone, anche quando scelto serenamente. Senza contare chi alle rinunce e all'affiancamento dei figli deve anteporre la necessità di lavorare per sopravvivere.
E’ in questo contesto che ci si è chiesti se e quali risvolti positivi porteranno la Direttiva e la più recente Circolare che il MIUR ha pubblicato e che interessano da vicinissimo noi e i nostri figli. Domande più che lecite, essendo la scuola uno dei rari momenti dove (si dovrebbe) cercare di praticare ed insegnare la cultura dell’inclusione.
Nel convegno di Milano del 25 marzo scorso proprio su questi due documenti sono emersi alcuni buoni propositi a parole, ma rimane il testo confusionario dei due documenti sui quali il convegno era fondato. Verba volant, scripta manent, perché siam tutti d’accordo che la situazione nei contesti di compresenza di allievi con disabilità lieve, grave, certificata/non certificata e stranieri sia di difficile gestione, come pure siam tutti convinti che non sia giusto (e neppure legale) lasciare a se stessi bambini e ragazzi che non hanno colpa di un sistema didattico non in grado di mantenere la promessa del sapere. Ma l’inclusione nelle scuole italiane è altra cosa.
In altro scritto affronteremo dettagliatamente i risvolti nella didattica della Direttiva del 27/12/2013 e della Circolare del 6/3/2013. Prescindendo da dotte perifrasi, qui si vuole arrivare a quella sostanza che è specchio della realtà dove vivono bambini e ragazzi che frequentano le scuole, tra i quali i nostri figli, dando il nostro semplice parere di genitori.
Con una premessa: integrazione o inclusione, per noi, non rappresentano il fulcro del problema. Siamo ovviamente interessati e disponibili a disquisire sulle strategie per realizzare l’uno e l’altro obiettivo. Ma lavorarci è una pratica che segue, non precede, il concretizzarsi della piena realizzazione delle volontà/possibilità della persona; vogliamo chiarire una volta per tutte che nella stragrande maggioranza dei casi, questo tutt'ora non avviene (nella scuola; figuriamoci nel mondo del lavoro!). Il problema pressante è saper vedere travi e pilastri di una scuola che sta crollando, non le pagliuzze etimologiche.
Quindi:
Primo: risorse, risorse e ancora risorse.
Inutile nascondersi. Se si vuole dare finalmente una risposta adeguata alla moltitudine di problematiche dei bisogni educativi, non si può prescindere dalla disponibilità di congrue risorse. La scuola ha in seno persone con grandi capacità professionali che ogni giorno superano gli ostacoli che emergono costantemente. Lavora, la scuola, tra le pieghe dall'autonomia, progettando creativamente le opportunità per arricchire l’offerta didattica. Ma siamo agli sgoccioli, tanto che le famiglie si fanno carico di costi sempre maggiori, pur nei proclami da parte della scuola stessa che essi non debbano esser dovuti. Chiediamo che si aprano gli occhi sull'aspetto risorse, dato che senza questi esborsi da parte delle famiglie non ci sarebbero uscite didattiche, non ci sarebbero gli strumenti informatici, non ci sarebbe carta igienica o sapone. E non apriamo la parentesi sugli assistenti alle disabilità sensoriali o per non parlare degli ausili per i bisogni educativi dei nostri figli, cui si accede con sempre maggior difficoltà, tanto che, infine, li si compra di tasca propria. Ci vogliono più risorse per la scuola, soprattutto in relazione alla disabilità. Sprechi e ruberie su cui operare i tagli, sono altrove.
Secondo: competenze e controlli per analizzare e risolvere i problemi.
Dal mondo della scuola sentiamo da ormai diversi anni affermazioni circa la necessità di cambiare il sistema delle certificazioni, perché si dice non essere possibile gestire con l’attuale sistema didattico numeri così elevati di allievi con bisogni educativi individuali. E così ha preso vita un processo di ri-certificazione per allineare lo stato psicofisico dell’allievo alle risorse disponibili. Se teoricamente può aver senso capire l’evoluzione dello stato complessivo dell’allievo, dei progressi, regressi oppure in una situazione di costanza, non si può ignorare che per lui e per le famiglie sottostare alle commissioni di valutazione ad ogni passaggio di grado significa solo violenza gratuita. Troviamo vi sia una certa crudeltà nel perseverare sulla limitazione delle possibilità di successo scolastico (e di vita) dei bambini per ragioni di mera pecunia. Dal Ministero si chiede agli insegnanti di classe di acquisire le capacità per valutare e gestire i diversi bisogni educativi; già che ci siamo chiediamogli anche di valutare e decidere le necessità degli allievi con disabilità oltre i termini pedagogici: di ausili, di terapie... Si è perso il buon senso. Chi ha la competenza per un simile compito sono le ASL. Punto. Dobbiamo qui ribadire che il “modello medico”, in fin dei conti, resta l’unico punto fermo su cui ragionare in una realtà ancora lontana dal modello bio-psico-sociale; quello medico, grazie ad una soggettività ridotta al minimo che non considera elementi forvianti influenzati dalle discussioni sulle risorse, sulla predominanza/privilegio/orari del contratto di lavoro (somministrato o rivendicato) rispetto alla didattica, ecc. consente alle famiglie di avere uno standard continuativo (o, meglio, più continuativo) se confrontato all'offerta scolastica. Ben sapendo che dietro ogni diagnosi medico/legale ci sono persone; che però ragionano su prassi condivise dal mondo scientifico.
Tornando al progetto di vita della persona, se fosse creato, condiviso e ben gestito da tutte le figure coinvolte (ASL, specialisti/terapisti, docenti, famiglie) sarebbe più che sufficiente per assegnare e calibrare man mano il sostegno con risultati ottimali. Cosa ci vuole? Torniamo al punto Uno: risorse. Risorse per le ASL che sono sotto organico; per la scuola per formare le persone che gravitano sull'allievo oltre che per il tempo che deve essere riconosciuto ed essere adeguato; domani come nell'immediato anche nel caso degli allievi recentemente ri-etichettati in vario modo, eliminando le scelte perverse delle ultime riforme (purtroppo) bipartisan che han sostanzialmente disfatto una scuola che, prima, funzionava meglio e le cui buone prassi, che parzialmente tutt'ora resistono, rischiano di volatilizzarsi definitivamente. Chiediamo che si ponga un termine al ciclo dei tagli, in nome di falsi risparmi, e si aumentino i finanziamenti alla scuola (pubblica). I soldi per questo e per altri ambiti ci sono, eccome. Averli tolti ai pilastri dello Stato (oltre che alla scuola, al sociale, alla sanità, al lavoro) è stata una pazzia che rischiamo di pagare tutti dolorosamente in un futuro neanche troppo lontano. In una recente pronuncia, il TAR siciliano ha affermato che “la discrezionalità dell’amministrazione nella gestione delle risorse pubbliche trova un limite nella protezione necessaria di tale diritto fondamentale [in materia di assistenza scolastica], che non può essere qualificato come diritto finanziariamente condizionato”. Nell'auspicio che le famiglie non debbano utilizzare gran parte del proprio tempo su argomenti cui in uno Stato civile non dovrebbero neppure pensare, focalizzandosi sui propri obiettivi, chiediamo di “dimenticare” questa fase del MIUR, per cercare di valorizzare la struttura normativa e le buone prassi esistenti: la Legge 104 aveva tracciato un solco preciso, e su questo si deve tornare senza alzate d’ingegno utili solo a chi le ha concepite.
Chiediamo, ancora una volta, che si applichino le leggi che sono (state) chiare e che purtroppo rappresentano per le famiglie una delle poche certezze cui riferirsi. Si abbia l’umiltà di non voler essere a tutti i costi migliori dei maestri del passato. Oltre che di applicare le leggi, ciò di cui c’è bisogno è saper controllarne l’applicazione, in un Paese, lo sottolineiamo ancora, che dimostra qui come in ogni altro ambito l’intolleranza ad essere controllato.
Il castello che oggi si sta costruendo mira a contenere la spesa per le persone con disabilità o in difficoltà, iniziando dall'istruzione e passando dalla sanità per finire col sociale. Non v’è ambito dove, in proporzione, lo Stato abbia colpito così duramente tagliando risorse, con una tattica di agire nel silenzio con il benestare trasversale di una larga parte di rappresentanti della società, della politica e, purtroppo, anche dei rappresentanti della disabilità. Credere che la soluzione ai problemi stia in questi termini è un errore atroce. Demolire in pochi mesi ciò che è stato costruito in decenni dovrebbe far riflettere sull'onestà, innanzitutto intellettuale, di chi queste azioni le sta compiendo. Fate quindi attenzione: i nostri figli staranno a scuola, nella scuola di tutti, assistiti secondo e con quanto è previsto e necessario, ben più delle briciole che i fenomeni dentro e fuori al MIUR ostentano mascherandole da alta conquista inclusiva.
1 commento:
A chi non vive in prima persona l’esperienza della disabilità sembrerà un paradosso: questa condizione dovrebbe avvicinare tra loro i familiari delle persone disabili. Invece essere uniti ma divisi è ormai una consuetudine anche in questa realtà. E questo nonostante l’Italia sia un esempio invidiato ben oltre l’Europa per il panorama normativo vigente.
Una condizione che le famiglie di figli con disabilità conoscono bene, potendo constatare l’enorme iato tra normativa pubblica e triste realtà quotidiana, scandita dallo stillicidio di grandi e piccoli ostacoli che nessuna norma da sola potrà mai eliminare senza il naturale senso civico, senza l’educazione e la cultura di ogni cittadino di questo Paese. Qualità, queste ultime, sempre più rare in Italia, dalle quali discende l’imprescindibilità delle leggi a difesa dei diritti dei propri figli. Una società che non ne vuol sapere di considerare la disabilità come una condizione di normale vivere in comunità, conduce necessariamente a dover ergere la normativa a baluardo difensivo di diritti che, lo ripetiamo, si è portati a pensare essere una realtà consolidata. Quale stupore invece nel constatare il contrario quando si valutano numericamente ricorsi, esposti e denunce dei genitori!
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DA MANDARE A MEMORIA! Come tutto i resto dell'articolo che definire magistrale è riduttivo!
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